Bologna, 8 aprile 2018 – Oggi nasceva Federico Caprilli. Anzi: Federigo Caprilli. Oggi, ma centocinquanta anni fa. L’8 aprile 1868. Un anniversario importante da celebrare, anche se non tutti sanno chi sia Federico Caprilli. Ma… davvero c’è chi nel mondo dello sport equestre non sa chi sia Federico Caprilli? Sì, davvero. Molti tra le amazzoni e i cavalieri di oggi non sanno chi sia Federico Caprilli. Eppure se quelle amazzoni e cavalieri di oggi sono oggi amazzoni e sono oggi cavalieri lo devono a lui: a Federico Caprilli. Però il motivo per il quale non tutti oggi sanno chi sia Federico Caprilli è quasi paradossale: perché la responsabilità (non diciamo colpa… ) di questa ignoranza è proprio di chi Caprilli lo ha venerato oltremisura, facendo di lui e delle sue idee e dei suoi principi un dogma assoluto, indiscutibile, vincolante. Volendo imporre tale dogma tra l’altro con la autoritarietà tipica del mondo militare di una volta, quando una cosa era solo quella e non poteva essere null’altro che quella. Un dogma che propugnato all’interno di una società civile e sportiva che pian piano si è andata emancipando dal mondo militare (non dimentichiamo che fino alla seconda guerra mondiale lo sport equestre è stato solo militare) non poteva essere recepito con la rassegnata e supina accettazione di chi è abituato a solo obbedire. Così a un certo punto in Italia – diciamo anni Settanta/Ottanta – c’è stato chi ha cominciato a catalogare con fastidio molto vicino all’irritazione Federico Caprilli descrivendolo come vecchio e superato e polveroso e anacronistico: ma reagendo così non ai suoi principi e alle sue idee, bensì a chi le dichiarava come proprie impugnandole come una clava contro tutto quello che aveva anche un vago sapore di modernità. Due fazioni, praticamente: i ‘vecchi’ accusavano i giovani di non capire niente, ringhiando che la vera equitazione poteva e doveva essere una e una soltanto, e che chiunque si discostava da quello che sostenevano loro non aveva il diritto di essere chiamato cavaliere; i giovani che con aria di sufficiente insofferenza invitavano i vecchi a ritornarsene nelle loro polverose biblioteche per adorare i feticci imbalsamati di un passato ormai morto e sepolto.
Due fazioni che radicandosi nel loro pregiudizio hanno prodotto un effetto deleterio: oscurare di fatto la grandezza di un personaggio che con le sue idee ha dato vita all’equitazione sportiva moderna. L’equitazione sportiva moderna del mondo, ovviamente: di tutto il mondo. Federico Caprilli è un grandioso patrimonio italiano, e tutti noi italiani dello sport equestre dobbiamo essere orgogliosi e fieri di lui. Questa è la realtà. Per fortuna negli ultimi anni grazie soprattutto a un’equitazione che evolvendosi sempre più – e cioè discostandosi una volta per tutte dal modello prevalente tra gli anni Cinquanta e Settanta, quello tedesco fatto di costrizione, pesantezza, e di cavalli forzatamente adattati a questo modello quindi massicci, pesanti e potenti – le geniali intuizioni di Federico Caprilli sono tornate… di moda.
Ma Federico Caprilli non può essere o non essere di moda. Perché Federico Caprilli non ha tempo: lui è ‘dentro’ tutto quello che è accaduto dall’inizio del Novecento fino a oggi, nello sport equestre. Perché lo ha creato lui. Certo vanno tenuti in conto alcuni aspetti, oggettivamente rilevanti. Primo, il sistema di equitazione naturale Federico Caprilli lo ha pensato prima di tutto per creare un nuovo modello di cavalleria militare, e solo come conseguenza di questo come sistema da applicare allo sport, uno sport che allora non poteva di certo essere ciò che è adesso. Secondo, Federico Caprilli stava lavorando a un manuale di equitazione codificato precisamente quando la morte lo ha colto, solo trentanovenne, nel 1907: gli è mancato il tempo quindi di approfondire e forse addirittura di elaborare ulteriormente le sue formidabili intuizioni; è probabile infatti che la sua inesauribile fame di miglioramento, di innovazione, di ricerca lo avrebbe portato più lontano di dove in realtà è arrivato. Questo è un aspetto che va tenuto in considerazione: cosa che invece i suoi contemporanei non hanno fatto, considerando l’ultima parola di Caprilli come il punto finale di tutto, oltre il quale non ci sarebbe potuto più essere nulla di nulla di nulla. E bloccando l’equitazione lì. Qualunque ulteriore passo in avanti – o tentativo di passo in avanti – non avrebbe avuto ragione d’essere: perché Caprilli non l’aveva detto… Caprilli è stato un innovatore, un rivoluzionario, un anticonformista: ma poi è stato impugnato da chi lo ha fatto diventare materia statica, ordine costituito, conformismo. Stimolando così inevitabilmente quel fisiologico fenomeno di rifiuto culturale di cui si diceva.
Oggi però i postumi di quel rifiuto sono stati definitivamente smaltiti: e di Federico Caprilli si può tornare a parlare senza il timore di essere catalogati come inutili arnesi che riemergono da un passato quasi preistorico. Federico Caprilli è modernità assoluta: lo è il suo modo di pensare, il suo modo di avvicinarsi ai cavalli e alla materia ‘equitazione’, lo è il suo modo di considerare il rapporto tra uomo e cavallo. Lo è il principio costitutivo del tutto, quello sulla base del quale il sistema naturale caprilliano ha creato l’equitazione sportiva di tutto il mondo: il cavaliere deve adattarsi al cavallo e non il cavallo al cavaliere. Oggi suona come un principio ovvio e scontato, ma al tempo in cui è stato stabilito ha rappresentato una totale sovversione, una rottura clamorosa con la realtà di quel tempo. Noi tutti, tutti noi siamo figli di quella rottura. Federico Caprilli è nostra madre e nostro padre. E noi siamo fieri e orgogliosi dei nostri genitori.