Bologna, 28 giugno 2021 – Sarà che il proibizionismo non mi sembra che abbia mai avuto dei grossissimi successi sociali.
Sarà che trovo un po’ troppo artificioso fare i ganzi con un “no” asettico, privo di coinvolgimento pratico come quello costituito da una raccolta firme.
Ma a me, personalmente, sembra sbagliata la raccolta firme per proibire l’utilizzo delle carrozzelle per turisti nelle città italiane dopo l’incidente occorso a Firenze, coinvolta anche l’auto del Ministro Lamorgese
Credo sia molto più utile e sensato darsi da fare perché sia attivo un regolamento efficace per il controllo del benessere animale.
Stiamo parlando di cavalli che lavorano sotto gli occhi di tutti, in pieno giorno e in assoluta visibilità: se si vuole controllare il loro benessere, ci si riesce benissimo.
Cavalli che sono vivi, e agiscono di conseguenza: a volte possono succedere anche incidenti come quello di Firenze, certo, ma è davvero un episodio che giustifica una raccolta firme proibizionista?
Perché Pallino, il grigio che scappando ha causato l’incidente, è un cavallo ben tenuto, in forma smagliante.
E’ vero, in questa occasione ha rischiato di fare male a sé e agli altri.
Ma quanti incidenti succedono ogni giorno causati da automobilisti, motociclisti, scooteristi, ciclisti senza che a nessuno venga in mente di proibirne la circolazione?
Non so, pensiamo a una pista da sci: dovremmo chiuderle tutte e per sempre visto il numero di morti e feriti che si registrano ogni anno all’ombra degli impianti di risalita.
Eppure è bastato un incidente (per fortuna quasi senza conseguenze: l’unico a farsi male è stato il fiaccheraio) per far scattare la mobilitazione, virtuale s’intende, contro le carrozzelle per turisti.
Una firmettina comodi comodi dal proprio computer per proibire la circolazione di cavali e carrozze per i turisti nelle città.
Magari le stesse città che vedono periodicamente raccogliersi migliaia di cavalli, e centinaia di migliaia di visitatori per eventi equestri di grande risonanza.
O concorsi ippici di livello internazionale, che anche lì ci sono cavalli che lavorano.
C’è davvero tanta differenza tra l’attaccare un cavallo trasportando turisti in una città d’arte o farlo lavorare per fini sportivi?
Le uniche differenze cui riusciamo a pensare sono quelle tra un cavallo ben tenuto e ben curato e un cavallo sfruttato in malo modo.
Ma i confini che vediamo tra queste cose non hanno nulla a che fare con il lavoro di quel cavallo, quanto con la professionalità e le buone intenzioni di chi lo usa.
Non è cosa fa un cavallo che ne certifica la sua possibilità di stare bene, ma come lo fa: e questa è una responsabilità umana.
Di chi lavora con lui e di chi amministra il luogo dove vive, che ha il dovere di dotarlo di regole a protezione del suo benessere e farle rispettare.
Perché negare a priori è sbagliato: comodo, ma sbagliato.
Perché vuol dire abdicare alla responsabilità di occuparsi di quel cavallo, e di tutti gli altri suoi simili.
Toglierlo dalle strade, dove è visibile a tutti per mandarlo chissà dove, lontano dagli occhi del pubblico sensibile.
Ma benedetti i cavalli che lavorano, e gli umani che lavorano con loro.
Quelli che rispettano i loro cavalli, s’intende, perché rispetto e benessere degli animali che lavorano sono un punto fermo imprescindibile.
“Ciò che è vergognosa è la facilità con la quale alcune persone vanno dal dire che non gli piace qualcosa al dire che il governo dovrebbe proibirla. Quando vai giù in strada, non aspettarti che la libertà sopravviva molto a lungo”,