Bologna, 24 dicembre 2021 – E’ una storia così vecchia che non se la ricorda più nessuno.
Ma siccome parla di renne e anche di cavalli pensiamo che a qualcuno di voi, magari a qualcuno di quelli che sanno ancora ascoltare le storie dimenticate, possa interessare.
Era un tempo in cui ancora non c’erano i giornali, un paese freddo dove i giorni di neve erano tanti di più di quelli di sole.
Il ghiaccio cominciava a ricoprire le strade non appena le giornate si accorciavano, e le persone così facevano fatica ad andare a trovare gli amici, e i parenti.
Però avevano una grandissima fortuna: erano ancora capaci di credere a quello che vedevano, forse perché quello che vedevano tutti i giorni era sempre vero.
Tra di loro, in una capanna un po’ più isolata delle altre, in mezzo ai boschi coperti da una coltre bianca dove camminavano leggere leggere le lepri artiche dal pelo candido viveva un vecchio, un vecchissimo Vecchio.
Nessuno sapeva da dove venisse, ma doveva essere un paese lontano perché da quell’altrove si era portato cose che solo lui aveva.
Come storie che dovevano essere molto divertenti, perché questo Vecchio sorrideva sempre anche quando era da solo, e si vede che pensava a cose belle.
Come il gusto per le cose colorate, perché sia la sua casa che i suoi vestiti erano pieni del calore dei fiori, del sole, dell’arcobaleno, delle ali delle farfalle e delle piume più belle degli uccellini di tutti i cieli.
Come degli animali meravigliosi, più grandi di un cervo, con la coda fluente e sul collo capelli lunghi come quelli delle ragazze che ballano a primavera nei campi fioriti.
Lui li chiamava ognuno con il loro nome, ma se parlava di tutti loro con gli altri uomini li definiva ‘cavalli’.
I suoi vicini erano veramente ammirati da questi cavalli: perché erano veloci, gentili e sembrava sempre che capissero al volo quello che il vecchio pensava o gli chiedeva di fare.
Loro invece erano abituati ad attaccare alle loro slitte le renne: bravissimi animali, sapete.
Ma perbacco, i cavalli del vecchio le battevano sempre quando si trattava di velocità o maneggevolezza.
E una notte di un inverno freddissimo, così freddo che nemmeno un topolino metteva fuori il muso dalla sua tana, si scatenò una bufera terribile. Il vento gelido schiantava gli alberi, non c’era scampo per chi non trovava un rifugio.
Anche il mare era quasi del tutto ghiacciato, solo un piccolo kayak cercava di non lasciarsi schiacciare dai lastroni o rovesciare nell’acqua nera.
Era quella di un pescatore che aveva tanta fame, e per questo era uscito ugualmente in quel tempo orrendo: doveva cercare di prendere qualcosa per la sua famiglia, ma adesso era davvero nei guai.
Nessuno poteva aiutarlo, tutte le mani che avrebbero voluto salvarlo erano troppo distanti.
Anche il vecchio dalla sua capanna vide le lanterne di chi aveva raggiunto la spiaggia e guardava quel puntino che sembrava scomparire da un momento all’altro nelle onde di un blu che sembrava nero.
Le guardò, per un attimo smise di sorridere: poi raddrizzò la schiena, la luce gli tornò negli occhi e andò veloce dai suoi cavalli.
Li attaccò alla sua lunga slitta, diede loro la voce e li fece galoppare verso quei lumini che si agitavano sulla spiaggia, tra spruzzi di neve e i ‘bravo’ che regalava a ognuno di loro, quando vedeva che si appoggiavano al pettorale allungando l’incollatura in avanti per andare ancora più veloci.
Arrivarono in un lampo, il vecchio e i suoi cavalli: ma non si fermarono lì dove finiva la terra, continuarono come volando sul ghiaccio sottile che ricopriva il mare.
Fino ad arrivare al pescatore, e lì il vecchio prese al volo l’uomo e lo tirò sulla slitta mentre i cavalli gli giravano attorno stretti al galoppo, così rapidi da non lasciare al mare il tempo di inghiottirli.
Poi ancora via verso la spiaggia, dove le luci delle lanterne si erano fermate come se non sapessero cosa pensare.
Il vecchio e i suoi cavalli portarono il pescatore sulla riva, al sicuro, ma poi successe una cosa che non si poteva fermare: quella galoppata era come se fosse stata l’ultima cosa che dovesse fare sulla terra, e dopo non poteva più rimanere.
Come se lo avessero chiamato da un’altra parte perché lì aveva fatto tutto quello che c’era da fare, come se qualcuno volesse chiamarlo vicino a sé a riposare.
Era una chiamata a cui non si poteva dire no, ma c’era il tempo di ragionare: e il vecchio pensò che era proprio un peccato che i suoi amici, i cavalli, rimanessero da soli nella scuderia nascosta nel bosco.
Perché loro avevano bisogno di amici, e perché oramai erano abituati a vivere con l’uomo.
E anche perché quelle donne e quegli uomini che abitavano in una terra così difficile e dura avevano davvero bisogno di una mano: anzi, di quattro zoccoli ad essere precisi.
Così il vecchio disse alle persone che erano lì: “Devo andare, non posso più rimanere con voi: ma voglio regalarvi i miei cavalli, trattateli bene e saranno per voi gli amici più cari“.
Tutti rimasero senza parole: perché erano tristi che se ne andasse, e perché erano felici di quel regalo meraviglioso.
Ma siccome erano persone gentili non volevano lasciarlo andare via da solo, nel freddo, senza ricambiare il dono.
Così gli dissero: “Grazie Vecchio, ma allora tu prendi le nostre renne!”
Il Vecchio vecchissimo sorrise, e fece segno di sì con la testa: era così stanco che non aveva nemmeno voglia di parlare, ma non avrebbe mai fatto una scortesia ai suoi amici.
Così portò con sé le renne: non le conosceva bene, ma comunque per andare da chi lo aveva chiamato andavano benissimo anche loro.
Ma nemmeno il Vecchio vecchissimo poteva prevedere tutto quello che poteva fare chi lo aveva chiamato in quella notte freddissima: e che aveva sorriso mentre laggiù, sulla spiaggia, si erano scambiati cavalli e renne.
Sempre sorridendo, chi lo aveva chiamato pensò che sarebbe stato bello se quel Vecchio così allegro e gentile e pieno di pensieri colorati avesse potuto continuare a rendere felice chi credeva alle cose che vedeva.
Quel pensiero era così forte che successe davvero: e allora il vecchissimo Vecchio continuò a volare con la sua slitta nella notte più fredda dell’anno, ma con le renne al posto dei suoi amati cavalli.
E sapete una cosa?
Lui era così bravo a capirle che anche le renne diventarono fantastiche attaccate alla slitta anzi, di più: pensate, c’è chi dice che adesso sappiano addirittura volare.
Qui un articolo che vi spiega come le slitte siano legate a giorni speciali, e qui qualcuno che ci ricorda questa vecchia, vecchissima storia