Sant’Agostino di Ferrara, 24 aprile 2020 – Oggi sarebbe stato il 107° compleanno di mio nonno paterno, Walter Magri.
Che aveva degli occhi color fiordaliso, bellissimi (“…fin troppo, per essere un uomo!”, come diceva mia nonna Aia), un caratterino capricciosetto e amava tanto, tantissimo i cavalli.
In casa mia tutti sanno raccontare favole bellissime, il merito (uno dei suoi tanti) era di mia nonna Arianna Rossi.
Nella sua famiglia il talento per la narrazione era congenito: per noi nipoti la favola del maniscalco Fraboni è il classico dei classici, e nostro papà per me e mia sorella aveva inventato una favoletta che per protagonista aveva un cavallo e una bambina che voleva andare a raggiungerlo, di là da un fosso.
L’unico che non raccontava favole era il nonno Walter, lui raccontava storie vere: e a me raccontava sempre le storie dei suoi cavalli.
Perché in casa era lui che si occupava di loro, che erano la sua passione e tutti gli riconoscevano il talento innato nel trattarli: i suoi fratelli non ci si mettevano nemmeno, quando ce n’era uno complicato era affare suo.
Non ho mai capito se a me piacciano i cavalli perché lui me li raccontava, o se me li raccontava perché aveva capito che mi piacevano: propendo per questa seconda ipotesi visto che era il nostro spazio esclusivo, eravamo sempre io e lui quando mi spiegava queste cose e mi piace pensare che lo facesse perché con me, così piccolina, si sentiva libero da ogni imbarazzo che magari con qualcuno più adulto lo avrebbe frenato.
Fatto sta che tra i primi ricordi che ho, quelli dei 2/3 anni, c’è il mio nonno Walter che mi racconta di Rita, una trottatrice saura, la sua cavalla del cuore: e mi spiega cose che hanno per sempre dato una direzione al mio modo di rapportarmi ai cavalli.
Come quella volta che mi raccontava, e ancora gli dispiaceva dell’errore fatto, di quando un giorno arrabbiatissimo per chissà quali motivi si era ritrovato a passare davanti alla mezza porta del box della cavalla, che come sempre si era fatta fuori col muso per salutarlo; ma lui invece di accarezzarla come al solito aveva sputato sulla lettiera, come per tirare fuori tutto il nervoso che aveva dentro.
E Rita si era impermalita, aveva “fatto il berrettino” come diceva il nonno e per la prima volta si era scansata da lui, ritirandosi nel box.
La cavalla ci mise una settimana a riprendere fiducia, e lui non se lo è scordato mai: “Coi cavalli bisogna sempre essere giusti, perché loro con te sono sempre onesti: è per questo che si offendono, se li tratti male”.
Il nonno non lo fece mai più, io spero di non averlo fatto mai: ma solo grazie a lui, che mi ha spiegato le cose più importanti.
Quelle che dici solo agli amici, alle persone di cui ti fidi e che sai che ti capiscono senza sorridere: e alle nipotine, ovviamente.
E per voi com’è l’amore per i cavalli: contagioso, innato o ereditario?