Bologna, 3 novembre 2016 – Come in altri ambiti, anche nel mondo dei cavalli, ippica ed equitazione, l’Italia sta soffrendo di un fenomeno che fino a pochi anni fa sembrava dimenticato: l’emigrazione. Oppure, a ingentilire il concetto, la cosiddetta fuga dei cervelli o delle eccellenze che dir si voglia. Non trovi riscontro per la tua attività? Il fisco ti tartassa? Gli affitti sono troppo alti? I compensi troppo bassi? Il mercato non ha i numeri? Si impacchettano baracca e burattini e si va altrove.
Meta elettiva il nord Europa dove, a detta di molti, circolano i soldi veri, la burocrazia è meno impegnativa, si lavora con minori pressioni e il mercato equestre è più pronto a riconosce la meritocrazia. Gli esempi si sprecano in maniera trasversale dal salto ostacoli al galoppo. Per non parlare degli allevatori che fuori dai confini nazionali stanno ricominciando a prendere ossigeno dopo anni di apnea totale. Nell’era della globalizzazione, in fondo non dovrebbe fare tanta differenza se la ragione sociale della propria attività è una Srl, una GmbH o una Ltd: Italia, Germania, Gran Bretagna. Stessa faccia stessa razza…
Eppure, è innegabile, rimane l’amaro in bocca. Quando il nostro unico cavaliere di salto ostacoli alle Olimpiadi abita ed esercita la propria professione in Germania ci spiace. Quando due tra le nostre migliori completiste risiedono in pianta stabile in Francia e Gran Bretagna ci viene da considerare che ci sono tanti posti anche in Italia…
A ben guardare, oramai vale la regola opposta: gli italiani di vertice che risiedono, si allenano e svolgono la propria attività equestre (commercio compreso) in Italia sono proporzionalmente meno di quelli che stanno fuori.
Si pensi al galoppo. Il Demuro che ha recentemente conquistato il Jockey Club e il Cadeddu che ha suggellato il Gran Criterium hanno spostato le proprie ‘professionalità’ rispettivamente in Francia e in Germania per tornare da vincitori sulle piste ‘natali’ di San Siro. Scuderie storiche come i Dioscuri sono anni che hanno lasciato i box milanesi e pisani per trasferirsi al nord della Francia. Tutto questo fa riflettere perché non si tratta di vezzi o mode ma di reali necessità di un enorme comparto sportivo e occupazionale che nel nostro paese non ha trovato il modo di farsi ascoltare.
Appeso tra agricoltura e sport e spettacolo, il mondo dei cavalli in Italia si è arenato nelle sabbie mobili della politica (reale e fiscale) e alla fine la fuoriuscita verso luoghi più ‘accoglienti’ è diventata il logico passo per non morire. Possibile che non ci sia una soluzione per riportare questo straordinario mondo (e il suo voluminoso indotto) in patria? Ci piacerebbe e farebbe tanto bene anche alla nostra economia…
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