Bologna, 19 agosto 2023 – Il tema è hot. Come sempre quando si toccano argomenti che riguardano ‘benessere animale versus tradizione’, il dibattito si anima con piglio fazionistico.
Spesso si assiste al derby tra animalisti e cavallari. Tra chi inneggia al valore della tradizione e perfino del contenuto religioso di molte manifestazioni popolari e chi invece ne chiede l’abolizione in favore di un benessere del cavallo che spesso viene a sua volta estremizzato, quasi antropizzato.
La posizione giusta, pienamente coerente, perfettamente al centro ed equilibrata, rispettosa del ‘sentire’ di tutti non c’è. O quanto meno, la nostra cultura equestre non l’ha ancora trovata.
Tuttavia rimangono gli incidenti, i cavalli morti o feriti, il clamore e il dispiacere sincero che suscitano. Clamore che va ben oltre la cerchia degli addetti ai lavori, favorevoli o contrari. E regala al mondo non equestre un’immagine raccapricciante di cosa siamo ancora in grado di fare a degli animali.
Oggi lo spunto lo offrono i palii, frequenti nella stagione estiva. Ma lo stesso identico discorso vale per la trazione animale delle carrozzelle per i turisti, per le corse in ippodromo e perfino per le competizioni delle discipline equestri e per le passeggiate.
Per chi ‘sta’ all’interno del perimetro equestre, le differenze tra l’una e l’altra situazione è enorme. Per chi sta fuori invece può non esserlo affatto.
Mi spiego. Per chi non ha contezza delle esigenze di un cavallo, non c’è differenza che sia caduto stremato per strada perché impiegato nelle ore sbagliate o con un peso eccessivo. È caduto e basta. Quindi ciò che ha causato l’evento drammatico va abolito. Per chi conosce la fisiologia del cavallo, la differenza avrebbe potuto farla l’orario in cui il cavallo è stato fatto lavorare, la sua alimentazione e integrazione e mille altri dettagli inerenti una sua gestione rispettosa e consapevole.
Lo stesso dicasi per i palii. Indipendentemente dalla tradizione millenaria, vedere cavalli che si fanno male per compiacere uno spettacolo, per quanto seguitissimo, e proseguire una tradizione molto partecipata secondo i criteri dell’uomo (e non certo del cavallo) è una pessima pubblicità per i palii stessi. Che siano quelli toscani, sardi o di qualsiasi altro luogo.
Chi non appartiene al mondo equestre fa poca distinzione tra i terreni super-curati di Piazza del Campo e quelli meno idonei di altre manifestazioni. Così come non fa differenza sulla tipologia dei cavalli scelti per queste prove. Già vent’anni fa, il compianto Roghi (veterinario storico del palio di Siena) faceva scuola in questo senso…
Quando un cavallo si fa male per compiacere il nostro spettacolo (di qualsiasi tipo e disciplina), poco contano le rassicurazioni di chi giura che si occuperà ‘dell’invalido’ a vita. O meglio, diciamo che è il minimo sindacale dovuto in questi casi. Quindi non un merito.
Di fronte a un cavallo che muore per ‘sfortuna’ (il dolo è già perseguibile dal codice penale) mentre corre per l’uomo – palio o altro non fa differenza – ben vengano le spiegazioni di tutti i veterinari del mondo, ma il cavallo rimane morto in ogni caso.
E neanche l’opposto funziona.
Le ‘magnifiche’ competizione vegane del nord Europa, con bastoni di scope e teste di cavalli di pezza, segnerebbero inevitabilmente l’estinzione dei cavalli con quattro gambe. La fine dell’allevamento, delle nascite…
Soprattutto in una nazione con le nostre caratteristiche (geografiche e umane) c’è poco sazio per un cavallo che non abbia un ‘utilizzo’ reale.
Quindi, il compromesso deve stare proprio in quella parolina, neppure troppo bella, che indica cosa sia possibile continuare a fare, da qui ai prossimi decenni, con il cavallo. Un utilizzo che sia rispettoso nei confronti dell’animale, che non lo esponga a rischi di incolumità inutili (gli incidenti possono comunque accadere ma…) e che sia comprensibile anche per chi osserva il nostro mondo dal di fuori. Che è poi la stragrande maggioranza delle persone.
Non dimentichiamocelo mai.