L’occasione per una riflessione a voce alta ci è fornita da due elementi d’attualità: l’entrata in vigore dei dazi e la pubblicazione annuale dei dati del Jockey Club, l’ente regolatore delle corse di galoppo. Una pubblicazione sempre molto attesa dagli addetti ai lavori in quanto ricchissima di quei dati, numeri e statistiche che orientano tutti i principali attori del segmento ippico a stelle e strisce.
E partendo proprio dai numeri, in quelli raccolti dal Jockey si evince che la popolazione dei Purosangue è in calo costante fin dal 1985. Si è passati da 868.602 soggetti registrati agli attuali 626.511. Sono calati i cavalli e sono calate anche le corse. Nel 1989 nei soli Stati Uniti, al netto quindi di Canada e Porto Rico, si tenevano 74.071 riunioni. 30.852 nel 2024.
Nel 2024 gli Statu Uniti hanno esportato 2.176 cavalli di cui 461 in Europa. In cambio ne hanno importati nello stesso anno 819, dei quali 630 con provenienza europea.
Complessivamente, stimano gli esperti del Jockey, nel 2024 il ‘mercato dell’ippica’ statunitense ha fatto registrare un -2,7% rispetto all’anno precedente.
A chi, come noi in Italia, è abituato a un segmento ippico cronicamente in contrazione sono dati che potrebbero far sorridere. Ma non troppo però. Perché sulla scia di una analisi già a segno meno, si incastona ora il problema dei dazi.
Dazi al galoppo
Secondo le disposizioni dell’amministrazione Trump, le tariffe per i Paesi che fanno spesso affari con gli Stati Uniti nel settore dell’allevamento e delle corse includono un’aliquota del 20% per i membri dell’Unione Europea, un’aliquota del 24% per il Giappone e un’aliquota del 25% per la Corea del Sud. Altri importanti attori nel mondo dell’ippica, tra cui il Regno Unito, l’Australia e la maggior parte dei Paesi sudamericani, tra cui Argentina, Brasile e Cile, sono soggetti solo alla tariffa base del 10%.
Sebbene sia prevista una tariffa del 25% sulle merci provenienti da Canada e Messico, l’accordo commerciale bilaterale tra Stati Uniti, Messico e Canada rimane in vigore. Le merci che, in base a tale trattato, sono definite esenti da dazi sono escluse dalla nuova tariffa e rimangono quindi al 10%. I cavalli vivi, sia da allevamento che da corsa, sono inclusi in questa eccezione.
Eppure, nonostante questo accordo sicuramente agevolato, è proprio dal Canada che arrivano le maggiori preoccupazioni.
I dazi infatti non si limitato a gravare sui cavalli. Bensì arrivano a colpire il settore su ogni singola voce in una sorta di reciprocità tossica. Un esempio? Il prezzo dei trucioli canadesi importati per le lettiere aumenterà di 2 dollari al sacco. Un costo che alla fine sarà trasferito sui proprietari. Se da un lato questa potrebbe essere una buona notizia per le aziende statunitensi produttrici di trucioli, non è detto che queste siano in grado di produrre i tipi di trucioli che gli addestratori più esigenti desiderano per i cavalli che hanno in custodia.
Replicando il concetto su tutto ciò che verte intorno al mondo dei cavalli si capisce facilmente quale potrebbe essere l’impatto di questa politica sull’intera ippica.
L’import-export temporaneo
Nel mondo dell’agonismo globalizzato, non è raro che i cavalli di vertice viaggino negli States per partecipare a corse o stagioni di monta. Per loro, dall’imposizione dei nuovi dazi, esiste una procedura fiscale particolare.
I proprietari di cavalli inviati negli Stati Uniti per gare a breve termine o per l’allevamento, ad esempio, i cavalli giapponesi per il Kentucky Derby o la Breeders’ Cup o i cavalli della Godolphin, sarebbero tenuti a pagare quello che Thomas Meis, direttore delle comunicazioni della National Thoroughbred Racing Association, ha definito un TIB (Temporary Import Bond) che verrebbe rimborsato quando il cavallo lascia gli Stati Uniti. Una sorta di cauzione.
Le attuali linee guida danno al cavallo un anno di tempo prima di dover lasciare gli Stati Uniti, anche se c’è la possibilità di un’estensione fino a tre anni. In caso contrario, scatta l’iter previsto per l’importazione.
La cauzione è pari al doppio del dazio previsto per il Paese di origine, più le tasse. E si baserebbe sul valore equo di mercato del cavallo, stabilito da una valutazione indipendente o da una prova di acquisti comparabili.
Una ‘cauzione’ molto onerosa
Facciamo qualche esempio. Se un cavallo giapponese valutato 2 milioni di dollari viene inviato a correre negli States per il Kentucky Derby o per la Breeders’ Cup, il proprietario pagherà una cauzione di quasi 1 milione di dollari – basata sul dazio del 24% imposto al Giappone, moltiplicato per due, più le tasse.
Un cavallo proveniente dall’Irlanda o da un altro Paese dell’Unione Europea inviato a correre nella Breeders’ Cup sarebbe soggetto a una cauzione del 40%. Per cui il proprietario di un galoppatore dell’Unione Europea valutato 2 milioni di dollari dovrebbe depositare 800.000 dollari più le tasse come cauzione.
A che cosa possa portare tutto ciò al momento non è dato saperlo. Pur non essendo analisti finanziari è facile immaginare che il mondo dei cavalli negli States perderà denaro. Così come quello canadese, europeo e di qualsiasi paese al mondo. E probabilmente si corre anche il rischio che si perda in competitività, in qualità, in potere d’acquisto del settore… Non tutti gli allevatori e non tutte le scuderie avranno voglia/possibilità di trasferire le proprie attività negli Stati Uniti.
Staremo a vedere.