Milano, 15 febbraio 2024 – Preoccupazioni gentili da parte di Artribune, testata di arte e cultura contemporanea.
Che, vista la scarsissima quantità di gente che gira da quelle parti, propone di spostare altrove il celebre Cavallo di bronzo ispirato a quello progettato da Leonardo da Vinci, e realizzato da Nina Akamu nel 1999.
Magari più vicino ai luoghi della cultura milanesi, magari in posizione strategica durante Milano-Cortina 2026.
Il che sarebbe bellissimo per il monumento equestre in se stesso: è davvero imponente e bello, ha una storia complicata e meravigliosa – si merita di essere ammirato.
Ma se davvero lo togliessero da San Siro…beh, che dolore.
Il cavallo che Leonardo non fece.
Una monumentale statua in bronzo ispirata al monumento equestre che, secondo le intenzioni di Ludovico il Moro, avrebbe dovuto arricchire la città di Milano e ricordare le gesta di suo padre Francesco, creatore delle fortune di famiglia.
E com’è che un monumento mai nato del Rinascimento diventa un simbolo di un di oggi?
Facile: grazie al mecenatismo di Charles Dent, un ex-pilota americano che lesse un articolo del National Geographic sul Cavallo di Leonardo, si innamorò della sua storia e trovò i soldi necessari a realizzare una fusione gigantesca, che aspettava di essere realizzata da più di 500 anni.
Ma procediamo con ordine, e possibilmente dall’inizio.
Che è il 1473, anno in cui Galeazzo Maria Sforza (primogenito di Francesco e fratello maggiore di Ludovico il Moro) comincia a cercare un artista che sia in grado di eseguire un magnifico monumento equestre in bronzo a grandezza naturale che rappresenti il padre Francesco.
L’opera non è di semplice realizzazione, le fusioni in bronzo sono opere complesse che vedono aumentare le difficoltà in relazione diretta con le loro dimensioni: Galeazzo Maria muore nel 1476, dopo qualche anno di attesa eredita governo dello stato (e desiderio di realizzare il monumento, ma molto più grandiosamente) suo fratello Ludovico, che prima farà da reggente al nipote e poi riuscirà a prenderne il posto di signore di Milano.
Anni tumultuosi per il ducato lombardo, ricchissimo ma dominato da una famiglia che deteneva il potere in modo un po’ irregolare: il passaggio delle consegne ducali dai Visconti agli Sforza era del tutto aleatorio senza l’investitura ufficiale dell’Imperatore del Sacro Romano Impero, Massimiliano d’Austria, unica autorità competente in materia e che diede le patenti ducali a Ludovico solo nel 1494.
Senza contare la figura controversa di Ludovico il Moro, in odore di usurpazione e furto di potere verso il suo stesso nipote: c’era bisogno di cementare la posizione di famiglia, Ludovico aveva una estrema necessità “di prestigio e magnificenza”.
Le manifestazioni artistiche facevano parte di quelle attività atte a conquistare il consenso popolare, e il Moro era perfettamente consapevole del fatto che questo genere di interventi avrebbero fatto bene alla sua immagine: di qui la sua attenzione anche a ricercare gli artisti più famosi per rendere splendido il suo stato. Lorenzo il Magnifico gli raccomandò, tra gli altri, Leonardo da Vinci: in lui Ludovico ripose tante speranze, compresa quella del mai dimenticato monumento equestre. Peccato che Leonardo fosse sì geniale ed eclettico, ma anche piuttosto dispersivo; realizzò tante opere sia artistiche che di ingegneria, ma gli si dovette correre dietro per fargli finire il Cenacolo e la statua di Francesco Sforza rimase allo stadio di modello in creta, magnifico e bellissimo ed enorme ma sempre e solo un modello. Venne distrutto dagli alabardieri francesi quando il Moro perse il potere, di lui rimasero i tanti schizzi di Leonardo che cercava nelle strade di Milano i cavalli più belli e ne rubava il ritratto di una groppa, del petto, dei garretti o di una incollatura particolarmente fascinosa.
Questa era la storia di cui si innamorò Charles Dent: le preoccupazioni di Leonardo circa la fusione contemporanea di tanto materiale vennero risolte con le tecniche moderne, e il cavallo vinciano nel 1999 ha visto finalmente la luce, grazie all’artista di origine giapponese Nina Akamu.
L’opera di Akamu è in realtà un omaggio al progetto del genio rinascimentale, più che una sua realizzazione rigorosamente fedele ai pochi disegni rimasti: ma è comunque un grande atto d’amore verso un’epoca lontana di terribili splendori e sconvolgenti meraviglie, dove lo stesso bronzo poteva servire indifferentemente per fare mortali cannoni da guerra, o raffinate sculture che avrebbero potuto sfidare i secoli.
Quale dei due?
I cavalli di bronzo realizzati da Nina Akamu sono quattro: il più grande, alto 7,3 metri è stato portato a Milano e orna l’entrata dell’Ippodromo di San Siro. Una copia più piccola è stata regalata alla città di Vinci, gli altri due di dimensioni simili ai precedenti si trovano negli Stati Uniti; Charles Dent è morto nel 1994, e non ha fatto in tempo a vedere nessuno dei sui cavalli.
Leonardo da Vinci
Nacque a Vinci il 15 aprile 1452 e morì ad Amboise, in Francia, il 2 maggio 1519. In mezzo a queste due date una vita dedicata alla scoperta del mondo e di quello che il mondo ancora non aveva mai visto, portandosi dietro quel talento pittorico che gli permise di svettare sugli artisti suoi contemporanei ma che gli rubava il tempo da dedicare ai suoi tanto cari studi di meccanica, idraulica, matematica, botanica, anatomia, balistica, astronomia, architettura. Senza contare il suo amore per la musica, il folklore, la lessicologia e il teatro: una vita che ne ha contenute altre cento, e che Leonardo ha vissuto di corsa, cercando di non lasciarsi sfuggire niente di quello che voleva capire anche a costo di non portare a termine ciò che aveva cominciato, era già lì in parte tra le sue mani e forse proprio per questo non lo incuriosiva più.