Perugia, 4 dicembre 2022 – Un viaggio da Bagheria ad Assisi su un carretto siciliano tirato dal suo cavallo iniziato il 4 ottobre, giorno di San Francesco.
E’ quello che Nino Buttitta porterà a termine domani entrando nella città del Poverello: un viaggio di ringraziamento, quello che una volta si sarebbe chiamato pellegrinaggio.
Signor Buttitta, per cosa vuole rendere grazie con questo viaggio?
“Sono un ristoratore. E nel periodo della pandemia siamo stati obbligati a non lavorare, cosa non avevo mai fatto in tutta la vita: ho 44 anni, da sempre ho lavorato, quindi questa condizione nuova di d’inerzia mi ha fatto stare male. E fortunatamente c’era il mio cavallo, Gandalf che mi ha aiutato. E’ stato veramente una sorta di psicologo. Il mio viaggio vuole essere un ringraziamento proprio a San Francesco perché i cavalli mi sono stati di aiuto nel lungo periodo del lockdown”.
Gandalf è il suo cavallo da quanto tempo?
“Da tre anni e mezzo: da prima del problema, cioè della pandemia. Quindi mi sono ritrovato a passare un sacco di tempo con lui, e piano piano abbiamo cominciato a fare delle gite fuori porta che sono diventate sempre un po’ più lunghe. Da casa andavamo allo stagnone di Marsala, dove ci sono i mulini al vento e alla valle dei templi di Agrigento, al teatro di Andromeda di Santo Stefano Quisquina”,
Avevate tutta la bellezza della Sicilia a disposizione.
“Sì, e quando eravamo in zona rossa e non riuscivo più a respirare, mi sentivo soffocare, quindi appena è stato possibile ho cercato, forse involontariamente, di raggiungere il punto più alto, perché volevo respirare: e siamo arrivati sull’Etna”.
Sempre con il tuo carretto, e Gandalf Attaccato?
“Sempre con il carretto”.
Chi è Gandalf ?
“Un cavallo Percheron: non in purezza, ma tanto Percheron”.
Ma com’è nata l’idea di questo viaggio molto più lungo del solito, da Ragusa ad Assisi?
“Una volta che si sono sistemate le cose abbiamo cominciato di nuovo a lavorare. Ho pensato che mi sembrava doveroso ringraziare San Francesco, che era il Santo che parlava agli animali: perché Gandalf per me è stato una grazia, un dono divino in questo momento così difficile. E allora ho cominciato a pensare che in fondo siamo stati ovunque, quindi possiamo riuscire ad andare anche ad Assisi e allora e facciamolo, questo pellegrinaggio”.
E’ stato difficile organizzarlo?
“L’anno scorso al primo tentativo è andata male, c’erano stati mille intoppi nella fase preparatoria. E allora non ho più detto nulla fino al 3 ottobre, quando sono andato al convento dei Francescani a Bagheria e ho chiesto se l’indomani potevano benedire il cavallo. Il 4 ottobre è il giorno di San Francesco: lo hanno benedetto e poi sono partito. Erano le 10, ho cominciato a fare delle telefonate per vedere se c’era qualcuno che poteva ospitarmi la sera e da quel giorno faccio così. Ho pensato che se devo arrivare arriverò, anche senza una pianificazione dettagliata”.
Lo spirito dei pellegrini del Medioevo.
“Ho pensato che l’anno scorso avevo progettato a tavolino più della metà del viaggio ed è saltato tutto in un attimo. Quindi mi sono detto: io parto, poi se non riesco, non ci sono le possibilità. non ho le forze o vedo che è impossibile torno indietro”.
Cosa le sta dando questo viaggio?
“Mi sto accorgendo che è certamente un viaggio sulla distanza, ma è anche un viaggio mentale. Che forse è la vera essenza del viaggio. Quello che conosciamo generalmente è solo la meta e più è lontana, più affascinante. Però anche se io e Gandalf in realtà non siamo andati così lontani o in posti molto esotici, mi sono accorto che tra Ragusa e Assisi ho conosciuto decine di popoli. Sono tutti consorziati in un’unica nazione che si chiama Italia, e parliamo tutti l’italiano ma siamo decine di popoli. Ci sono i lucani, ci sono i sicani, i calabri, i siciliani, i campani, i napoletani. Cambiano gli accenti, cambia la cucina: a ogni tappa ti accorgi che anche se in modo quasi impercettibile diventano un po’ diversi, così come cambia ance il territorio. E insomma è stato davvero un viaggio, un viaggio nel mondo. E ti accorgi che c’è una grande ricchezza in tutta questa diversità, e sarebbe un peccato perderla”.
Pensando a tutta la strada che ha fatto, i primi pensieri che le vengono in mente.
“Piccole cose, magari sciocche: come scoprire il perché i ciociari si chiamano così, dalle ciocie che sono dei calzari di cuoio che indossavano questi popoli. Oppure il fatto di essere usciti vivi per miracolo dal peperoncino della Calabria, e di aver visto ancora gente che abita nei prefabbricati in Irpinia. E poi accorgersi delle differenze culturali, di abitudine: non in tutte le zone d’Italia trovi la stessa familiarità che abbiamo in Sicilia col cavallo: da noi in farmacia trovi la Vitamina C come i sacchi di mangime, in altri luoghi ho fatto fatica a trovare il fieno adatto al cavallo anche nelle zone rurali”.
E le persone?
“Abbiamo incontrato un sacco di persone e in tanti hanno parlato volentieri con me, anche se prima non mi conoscevano. Mi sono davvero reso conto che ogni uomo spera, sogna, ha bisogni e per molti rappresento un po’ l’icona della speranza. Ho incontrato tanta gente che non fa rumore, quella che non fa notizia. Perché fa notizia solo il crimine, il male, la cosa negativa. Però c’è un sacco di gente che lavora dalla mattina alla sera, che non conosce le domeniche specie nella zootecnia. Che non conosce le feste o il raffreddore, perché la trovi sempre sul trattore, a caricare paglia o a scaricare fieno, a spalare.
C’è sempre qualcosa da fare, se hai degli animali a cui badare. Ma Gandalf bada a lei come lei bada a Gandalf?
“Essendo entrambi in pellegrinaggio e soli molto spesso, ti accorgi che quando il cavallo sta per perdere un po’ di coraggio devi infonderglielo tu: e altre volte succede il contrario, è lui che fa coraggio a me e la sua tranquillità dà la forza a me di continuare ancora un po’. Per esempio ieri (quando raccogliamo l’intervista di Nino sono gli ultimissimi giorni di novembre) siamo stati 7 ore sotto la pioggia, e poi 2 km prima di arrivare al centro che doveva ospitarci abbiamo scoperto che c’era stata una frana, la strada era andata giù a seguito delle piogge quindi il nostro percorso si è allungato di 5 km, e sempre sotto la pioggia. Una giornata molto pesante: e difatti oggi abbiamo fatto solo 15 km, avevamo bisogno di un contentino. Ma funziona così: tu dai coraggio a lui, lui da coraggio a te. Gandalf è davvero il mio compagno di viaggio, quindi senza di lui io non saprei più cosa fare: e credo anche lui, senza di me”.
E’ stato facile rispettare i tempi che si era prefissato?
“No, perché non so mai domani cosa mi aspetta, non so ancora dove andare, ma vorrei riuscire a passare le feste di Natale a casa. E oltre a tutte le difficoltà meteo e agli imprevisti, c’è anche il fatto che devo trovare per le soste posti dove non sono troppo lontano da Gandalf: non posso riposare se non sono tranquillo per lui, devo averlo vicino”.
Per fortuna non ha fretta.
“No, certo. Anche se adesso comincia a diventare tutto più reale: prima Assisi era solo un nome, una meta ideale. Adesso comincia a spuntare sulla carta, sul GPS, quando tu guardi c’è il tuo puntino e vedi anche dov’è Assisi. Diventa sempre più reale e quindi ogni chilometro sembra sempre più lungo, non sembrano fatti di 1000 metri ma di tanti, tantissimi di più”.
Il suo carretto siciliano sta reggendo bene il viaggio?
“Il Carretto Siciliano è un’opera di alta ingegneria, seppur antica quindi il legno era buono come qualità. Tutte le parti ferrose sono nuove, quindi mi ha servito molto bene. Noi viaggiamo col carretto quasi vuoto: sopra ci sono due valigie, un po’ di fieno e un sacco di mangime per il cavallo. Ma è un mezzo di trasporto che può benissimo trasportare 7 quintali di materiale, una volta lo usavano per questo.
E’ un mezzo nuovo o antico il suo?
“E’ stato commissionato quarant’anni fa da mio nonno a uno degli ultimi carradori di Belpasso, Alfio Pulvirenti, in provincia di Catania. Credo che qualcosa continuino ancora a fare, anche se ci sono tempi di attesa lunghissimi per averne uno: sono cose che vanno fatte a mano”.
Si sta portando dietro un pezzo di storia, la rappresentazione di un patrimonio culturale.
“E’ vero: e non sono mai stato così orgoglioso delle mie radici, mai stato così consapevole della ricchezza del nostro patrimonio storico e culturale. Perché finché stavo a casa era scontato, e anche questo carretto era ‘qualcosa che era stato’, forse perché è sempre sotto i miei occhi, nel garage di mio nonno, a casa mia. Quindi era qualcosa che ingombrava pure: adesso invece proprio è, nel senso che è tornato a esistere, a esercitare la sua ragione di essere. Mi accorgo che è bello vedere tutta una nazione che lo osserva, stupita, come al passaggio di un dinosauro. Eppure è una cosa per me naturale, che siamo riusciti inconsapevolmente a conservare e fino a oggi. Così questo carretto anche solo esistendo è riuscito a traghettare una passione, un lavoro: quello di mio nonno, che era carrettiere e ha avuto tanta passione da riuscire a insegnarmi tanto, mentre crescevo. Anche involontariamente, solo perché i miei genitori erano occupatissimi a lavorare e quindi io passavo tutto il tempo col nonno pensionato che girava col carretto e col cavallo. Quindi ogni tanto facevamo il fagotto col cibo, attaccavamo il cavallo e tornavamo la sera”.
C’era anche suo nonno con voi due, in questo viaggio allora.
“Si, certamente. Perché in realtà ciò che siamo non lo non lo stabiliamo solamente noi, c’è già qualcuno prima di noi che ha messo lì qualcosa che ci servirà, ha lasciato l’imprinting”.
A proposito di imprinting: che carattere ha Gandalf?
“Un caratteraccio, è uno di quei cavalli che non ti regala niente. Alla fine non è cattivo, però è molto, molto, scettico nei confronti dell’uomo. Prima di riuscire ad avere un rapporto siamo dovuti diventare amici: e c’è voluta tanta pazienza, ho resistito proprio perché mi ci ero fissato. Che era una sconfitta per me, non riuscire in questa conquista. Le ho provate tutte con lui, ma non è un cavallo che si può domare con la forza o con l’imposizione anche se qualcuno ci ha sicuramente provato con lui. Ma con il dialogo si è fatto fregare: e ha cominciato ad avere fiducia. Adesso ci siamo ritrovati a passare gallerie al buio, di notte, con i fari delle macchine che ci sparavano contro e lui perfetto, tranquillissimo. Adesso a lui basta sapere che ci sono e insieme andiamo anche nel fuoco. In un viaggio così lungo si instaura un rapporto particolarissimo. Adesso il mio pensiero è che quando arrivo ad Assisi devo trovare un mezzo che ospiti anche a me, non solo lui e il carretto per tornare a casa”.
Domani Nino, Gandalf e il loro carretto siciliano arriveranno ad Assisi: il loro pellegrinaggio è terminato, tutto il resto continua.
Qui una notizia che li riguarda, da La Voce di Bagheria