Bologna, 7 febbraio 2024 – “Il cavallo è una cosa bellissima… Nessuno si stancherà mai di guardarlo mentre è esposto allo spettatore in tutta la sua gloria”. Lo scriveva Senofonte nel suo trattato ‘Sull’Equitazione’. Una consapevolezza che porta la data del IV Secolo a.C. e che arriva fino a noi attraverso un considerevolissimo numero di opere d’arte.
I Greci avevano un enorme rispetto per i cavalli che furono per loro eccelsi compagni d’armi. Dalla loro sepoltura (1200 a.C.) fino alla reiterata presenza nella letteratura, dove i cavalli di Achille arrivano perfino a parlare, tutto indica che la liaison tra Greci antichi e cavalli fu profonda.
Non fa quindi meraviglia che spesso fossero utilizzati nelle magnifiche opere scultoree che la Scuola Greca disseminò in larga parte del bacino del Mediterraneo insieme a templi di inestimabile pregio. Qualcuno è giunto fino a noi. Altri sono andati distrutti. E i loro frammenti ci vengono restituiti, un po’ per volta, ora dal mare ora dalla terra, per farci capire la magnificenza di una civiltà vissuta così tanti secoli fa.
Riemerso dalla acque
È notizia di pochi giorni fa che davanti al bel mare di Agrigento – al tempo del tiranno Terone la colonia greca di Acragas – i sommozzatori dei Carabinieri insieme al BCsicilia gruppo subacqueo hanno recuperato un cavallo dalle dimensioni davvero imponenti.
Si tratta di una scultura di 2 metri per 1,6 metri e dello spessore di 35 centimetri. Si pensa che questo cavallo fosse il fregio centrale del Tempio di Zeus (o Giove olimpico), costruito per celebrare la vittoria nella battaglia di Himera nel 480 a.C. e ospitato nel complesso archeologico della Valle dei Templi.
L’enorme equino marmoreo – di cui era già nota la presenza – giaceva a circa 300 metri dalla costa, a una profondità di 9 metri.