Roma, 18 luglio 2020 – Anita Garibaldi a scuola ce l’hanno fatta diventare un po’ noiosa, irreale, una figurina risorgimentale a uso e consumo del patriottismo d’epoca.
E invece no: era una donna di cavalli coi controfiocchi, e noi partiamo dal suo monumento a Roma per raccontarvi di lei.
La statua equestre ad Anita Garibaldi situata sul Gianicolo è opera dello scultore Mario Rutelli, bisnonno dell’ex sindaco di Roma Francesco Rutelli.
Ai piedi del monumento sono ancora oggi conservate le spoglie della moglie di Giuseppe Garibaldi.
Nata in Brasile nel 1821 da una famiglia portoghese proveniente dalle Azzorre, Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva era la terza e amatissima figlia femmina del tropero (il gaucho brasiliano) Bentão.
Il padre le insegnò a montare sin da piccola e poi a domare e addestrare i cavalli che venivano impiegati per accompagnare il bestiame a lui affidato.
Anita aiutò il padre a lavorare con i cavalli sino ai suoi dodici anni, quando Bentao morì.
Due anni dopo si sposò con il calzolaio Manuel Duarte e a diciotto incontrò Giuseppe Garibaldi.
Da subito un amore di fuoco per entrambi, e Anita non abbandonò più il suo José.
E fu sicuramente lei che insegnò a montare all’Eroe dei due mondi, che fino ad allora era “solo” un uomo di mare.
Anita morì durante l’ultima di tante fughe, dopo anni di battaglie e quattro figli: era a Mandriole di Ravenna, aveva 28 anni ed era incinta di cinque mesi.
Ai nostri occhi moderni la statua che la raffigura potrebbe sembrare un po’ agiografica: una bella ragazza con i capelli al vento, un bambino in braccio e la pistola nell’altra…tanta roba, quasi troppa.
Invece è la verità: Anita combatteva veramente come un uomo, a cavallo era un vero demonio tanto che in Brasile mentre era incinta di sette mesi ebbe il comando di un distaccamento di cavalleria.
Nel settembre del 1840 a Sao Simao sfuggì alla cattura da parte dei soldati imperiali con il figlio Menotti neonato tra le braccia, a dodici giorni dal parto, montando in sella di notte e rifugiandosi nella foresta per giorni.
Ed è solo una delle tante battaglie che visse divisa tra l’amore geloso per il suo eroe biondo, la tenerezza per i figli e la tenacia con cui appoggiava gli ideali di Garibaldi, uomo perennemente in cerca di azione.
Ma torniamo al monumento di Roma: venne inaugurato il 4 giugno 1932 dalla regina Elena del Montenegro alla presenza del re Vittorio Emanuele III, dell’allora presidente del Consiglio Benito Mussolini e dei discendenti diretti di Anita.
L’atmosfera doveva essere un po’ strana quel giorno, visto che Anita incarnava esattamente il contrario degli ideali fascisti in campo femminile.
Lei era tutto tranne che casalinga e convenzionale: praticamente bigama (del primo marito si supponeva la morte, ma non era cosa certa), non religiosa, straniera, rivoluzionaria e internazionalista, guerriera.
Era ancora più difficilmente gestibile della figura dello stesso Giuseppe Garibaldi, che già era un problema asservire alle necessità della propaganda fascista.
Difatti Mussolini durante il suo discorso all’inaugurazione parlò pochissimo di lei, dando tutta l’attenzione al generale.
L’unico particolare veramente non realistico del monumento è la sella da amazzone: lei molto probabilmente montava da uomo.
Come un vero soldato, un vero tropero e bella come era nelle parole che l’ammiraglio britannico H.F. Winningham-Ingram scrisse alla moglie, dopo aver assistito ad uno dei suoi scatti di bruciante gelosia.
“…Maria Ouseley cavalcava accanto al colonnello Garibaldi” racconta Winningham-Ingram, “la sua figura alta e imponente attira l’attenzione. Oggi Anita Garibaldi si è improvvisamente parata dinanzi a lei, spaventando il cavallo di Mrs. Ouseley e lei stessa. La signora Garibaldi ha preso il suo posto accanto al colonnello e sono entrai in città cavalcando affiancati. Anita Garibaldi è, secondo le abitudini del suo paese, una splendida cavallerizza; vederla cavalcare al passo a fianco del marito è un’immagine indimenticabile”.
Poi ci sono statue e statue, si sa…intanto noi ve ne racconteremo qualcuna, strada facendo.