Bologna, 29 maggio 2021 – Potrebbe essere l’Equus simplicidens il ‘papà’ di asini, cavalli e zebre. A suggerirlo è uno studio pubblicato su Scientific Reports e realizzato da ricercatori dell’Università di Firenze – in collaborazione con Università di Pisa, Howard University e Smithsonian Natural History Museum di Washington DC.
Secondo la ricerca coordinata da Omar Cirilli, Lorenzo Rook e Luca Pandolfi, l’Equus simplicidens sarebbe vissuto in Nord America circa 4 milioni di anni fa. La sua ‘responsabilità’ rispetto ai futuri asini, cavalli e zebre sarebbe emersa comparando le specie attuali con numerosi resti fossili. Provenienti non solo dal Nord America, ma anche da Europa, Asia e Africa.
«Le analisi filogenetiche permettono di individuare i rapporti evolutivi tra le specie attuali e le specie fossili». Lo spiega Lorenzo Rook, ordinario di Paleontologia e Paleoecologia all’Università di Firenze.
«Recentemente, sono state sviluppate nuove metodologie genetiche che consentono di studiare i rapporti filogenetici fra le specie analizzando fossili vecchi anche di due milioni di anni».
Sulle tracce del cavallo…
Nella loro appassionante investigazione, i ricercatori sono partiti da un esemplare di zebra. Per la precisione dall’Equus stenonis, una zebra fossile del Pleistocene Inferiore.
La comparazione di cranio, mandibola e denti di Equus stenonis con quelli dell’africana Equus koobiforensis e dell’americano Equus simplicidens ha permesso ai ricercatori di stabilire l’unicità del genere Equus. Derivato a sua volta dal genere Dinohippus.
«Con i progressivi cambiamenti climatici che si sono succeduti tra 3 e 2 milioni di anni fa, i primi rappresentanti del genere Equus si sono diffusi prima in Eurasia e poi in Africa». Chiarisce Omar Cirilli, primo firmatario dello studio.
«La linea evolutiva che ha portato all’origine delle zebre e degli asini moderni è quindi identificabile in Equus simplicidens – Equus stenonis – Equus koobiforensis. Ciò è avvenuto attraverso una progressiva evoluzione di alcune caratteristiche del cranio. Che possono essere interpretate come risposta ecologica ai cambiamenti ambientali, cui queste specie si sono dovute adattare».