Aosta, 19 settembre 2016 – “Buena postura de caballo”: è la didascalia di un disegno del 1530, graffito su uno dei muri del Castello di Issogne, ad Aosta.
Una gita di famiglia ha portato un paio di adorabili nipoti da quelle parti, che vedendo un destriero hanno pensato immediatamente alla zietta polverosa ed ippomaniaca: che adesso è assolutamente felice di aver scoperto, grazie a loro, una versione amatoriale ma non per questo meno interessante dei cavalli affrescati del castello di Venafro.
Sì, è vero: questi sono dipinti da un artista con ogni cura, rappresentavano l’orgoglio del loro proprietario – il conte don Enrico Pandone – ed erano dei veri e propri ritratti di rappresentanza mentre quello di Issogne è un disegno fatto per passatempo, tra una pigra chiacchierata e l’altra nelle lunghe attese che costellavano la vita di una piccola corte isolata, lassù in montagna.
Ma è evidente l’aria di famiglia che li unisce: sono degli stessi anni, 1524 per i cavalli di Venafro e 1530 per quello di Issogne – praticamente contemporanei, le loro vite sono scorse parallele anche se a 852 kilometri di distanza.
E sono gli stessi finimenti, le stesse selle, gli stessi cavalli: ginetti viene da pensare, i preziosi cavalli di Spagna che erano la base genetica di quelli richiestissimi, ai tempi, da tutti i nobili cavalieri che se ne dovevano servire in cavallerizza (erano gli anni in la scuola napoletana era il faro dell’equitazione europea) come nella via quotidiana di corte e di guerra.
E difatti l’iscrizione del cavallo di Issogne suona chiaramente spagnoleggiante: il regno di Napoli era debitore alla Spagna di regnanti, cavalli e cavalieri, che girando per le corti della Penisola ed oltre spargevano i semi della buona equitazione: anche disegnando un bel cavallo e fissandone la postura ideale così per scherzo, sul muro di un castello dove lasciavano passare pigramente una giornata.
Qui il castello di Issogne e qui altri suoi dettagli equestri preziosi, e qui quello di Venafro