Verona, 24 ottobre 2018 – Si è parlato anche di cavalli Lipizzani durante l’ultima puntata di “Ulisse, il piacere della scoperta” andata in onda su Rai1 lo scorso sabato: l’occasione è stata data dal tema della puntata, dedicata alla Principessa Sissi.
Come certamente saprete Elisabetta Amalia Eugenia di Wittelsbach, nata duchessa in Baviera e dopo il matrimonio con Francesco Giuseppe imperatrice d’Austria, regina apostolica d’Ungheria, regina di Boemia e Croazia era una ottima e raffinata amazzone: quasi obbligatorio quindi inserire in un programma dedicato a lei uno spin-off dedicato ai grigi più famosi del pondo ippologico…di seguito un approfondimento sulla loro storia, che per noi si meriterebbe tutta la prima puntata della prossima serie del bel programma di Alberto Angela.
Perché gli ingredienti di una bella favola ci sarebbero tutti: principi azzurri, cavalli grigi*, palazzi dorati, avventure tenebrose e lunghi secoli di storia felice.
Ma questa è una fiaba che non comincia con il famoso «C’era una volta…»: perché i Lipizzani, grazie a Dio e a molti uomini di buona volontà, ci sono ancora.
Tutto iniziò nel 1580: l’Arciduca Carlo II d’Austria (persona colta e di buon senso oltre che governatore di Stiria, Carinzia e altri possedimenti asburgici giù fino a Trieste) promuoveva da generoso mecenate ogni slancio culturale e civile possibile per arricchire quel che restava in mano Asburgo del Sacro Romano Impero.
Libertà di culto per i protestanti, l’università di Graz, protezione ed aiuto a musicisti e scienziati – tutte opere lodevoli, ma a noi resta simpatico perché ha fondato l’allevamento di Lipizza.
A corte c’era bisogno di cavalli degni della maestà imperiale: le luci classiche del Rinascimento stavano per esplodere nell’overdose sensuale del Barocco e anche in sella o per gli attacchi si voleva qualcosa di più, di diverso e nuovo.
Carlo fondò l’equile di Lipica partendo da solide fondamenta genetiche: 30 fattrici e 6 stalloni Andalusi importati direttamente dalla Spagna e altri provenienti dall’allevamento boemo di Kladrub, i primi di una lunga serie che assieme ad alcune fattrici autoctone di Aquileia (discendenti da cavalli Romani, Napoletani o austriaci) e qualche stallone del Polesine formarono il nucleo originale della razza.
Affidò tutto nelle mani del capo-scuderia sloveno Franjo Jurko, nato proprio da quelle parti e profondo conoscitore del suo angolo di Carso . Direzione intelligente dell’allevamento, pascoli calcarei in cui crescere liberi e alimentazione accurata delle fattrici cominciarono a formare generazioni di puledri sani e robusti: i cavalli del Carso (come erano chiamati allora) erano capaci di percorrere i quasi 500 chilometri che separano Lipica da Vienna al trotto in otto giorni, risalendo monti e valli.
Dal 1585 l’allevamento di Lipica cominciò a rifornire regolarmente Vienna e la sua corte dei magnifici cavalli di cui avevano bisogno per il tiro leggero e la Scuola Spagnola di equitazione: dovevano avere bella prestanza, nobili forme, passo sicuro e rilevato, ottima indole e mantello invariabilmente grigio.
Gli Asburgo continuarono a proteggere e curare l’equile di Lipica con costanza teutonica, mai venne meno il loro interesse per la razza.
E a centocinquant’anni dall’inizio della favola il cavallo voluto da Carlo II ebbe il suo trionfo: il 14 settembre 1735 cinquantaquattro candidi stalloni si esibirono in un applauditissimo Carosello in occasione dell’inaugurazione del nuovo Maneggio d’Inverno di Vienna, riscuotendo un successo clamoroso. Da quel momento in poi l’immagine della Scuola Spagnola di Vienna divenne inseparabile da quella dei suoi argentei cavalli: è il lavoro di Alta Scuola che fa la selezione caratteriale e mette in risalto i soggetti più dotati e quindi adatti alla riproduzione, è la straordinaria capacità di impegnarsi in esercizi complessi e faticosi a rendere famosi e conosciuti in tutto il mondo i cavalli nati nel Carso che, dal 1780, vennero chiamati ufficialmente Lipizzani.
Ma in tutte le favole c’è qualche pagina di paura e per le sorti del nostro grigio la prima causa di ogni timore saranno sempre le guerre.
Comincia il corso conquistatore, Napoleone: nel 1805 aveva dato in gestione l’allevamento di Lipizza all’ammiraglio Marmont che vendeva i cavalli migliori per pagarsi navi da guerra, mentre quel che rimaneva del patrimonio equino nel secolo successivo veniva spostato in diversi altri luoghi per salvarlo da razzie e invasioni straniere. Altro cambiamento epocale nel 1919, dopo la fine della Prima Guerra Mondiale: le mandrie erano state trasferite al sicuro appena prima dell’inizio del conflitto ma una parte venne data al Regno d’Italia in conto riparazioni danni.
I nuovi confini avevano compreso Lipizza nel territorio italiano, e lì tornarono 109 tra fattrici, puledri e stalloni da cui il nostro Ministero della Guerra cominciò ad attingere per le sue necessità correnti – niente più obiettivi imperiali, i Lipizzani italiani vennero apprezzati semplicemente come ottimi cavalli da tiro elegante e rimonte per l’esercito .
All’Austria vennero lasciati solo 98 cavalli e l’allevamento degli stalloni per la Scuola Spagnola di Vienna venne concentrato a Piber, vicino Graz.
Anche in Croazia esisteva un nucleo di Lipizzani puri: quelli che vinsero il concorso internazionale di attacchi ad Acquisgrana nel 1938 erano dell’allevamento di Stancik, vicino Zagabria.
La Seconda Guerra mondiale segnerà un altro momento terribile per i cavalli danzanti di Vienna: sparsi in tutta la Mitteleuropa nel tentivo di ridurre i rischi vennero separati da eventi bellici, eserciti in fuga e i nuovi confini politici dei paesi nati nel 1945, dopo la Conferenza di Jalta. Probabilmente furono quelli gli anni più pericolosi per la razza: gli Alleati bombardavano Vienna e gli stalloni lipizzani vennero portati più al sicuro in Alta Austria dal colonnello Alois Podhajsky , direttore della Spanische Hofreitschule; dopo l’8 settembre i tedeschi invasero il Carso e spostarono tutti i 178 cavalli di Lipizza ad Hostau, in territorio Ceko, dove erano stati concentrati anche quelli provenienti da Piber. Il patrimonio genetico della razza, ricco di quattrocento anni di storia, era in pericolo: alla mercé dei soldati in fuga e in cerca di qualsiasi mezzo di trasporto, della gente affamata da anni di guerra e privazioni.
Ma questa è una favola, non dimenticatelo: e nelle favole arriva sempre l’eroe buono che salva la situazione e ….«vissero tutti felici e contenti».
Vi aspettate un principe? Sbagliato: perché adesso arrivano i Nostri, proprio quelli dei film con gli indiani.
A salvare gli asburgici Lipizzani saranno infatti un ufficiale degli Stati Uniti e i suoi soldati cow-boy: il generale Patton, per la precisione, comandate della 3° Armata (e nonno di Beezie Madden).
Vecchio amico di Podhajsky, nato ufficiale di cavalleria e decisamente portato alle prese di posizione di forte impatto mediatico (con l’uniforme portava invariabilmente una Colt a 6 colpi dal calcio d’avorio infilata in un cinturone da cow-boy) era la persona giusta, nel posto giusto e al momento giusto.
Podhajsky, che di spettacoli emozionanti se ne intende, sa come prenderlo: lo invita con tutto il suo stato maggiore a San Martino per assistere ad una speciale ripresa dei suoi stalloni.
Terminata l’esibizione il raffinatissimo colonnello, chapeau bas e testa alta, chiede al generale americano impalato sull’attenti di proteggere quegli splendidi animali.
Patton non delude le aspettative e di concerto con i servizi segreti che si informarono anche sulla posizione degli altri gruppi di fattrici, stalloni e puledri custoditi ad Hostau dai tedeschi organizza un’azione lampo per trasferire i Lipizzani nella zona controllata dagli Alleati.
Il tutto complicato dall’esercito russo cui non si potevano pestare i piedi e che aveva di fatto la competenza delle zone interessate dall’operazione, ma facilitato dalla cura con cui i tedeschi avevano trattato i cavalli sequestrati: accolsero gli americani con una guardia d’onore e consegnarono i cavalli senza colpo ferire, felici del fatto che venissero a salvarli dai russi.
Epilogo secondario dell’avventura: 80 di questi Lipizzani salvati da Patton vennero trattenuti in Italia durante il loro trasferimento per via ferrata verso Lipizza, diventata Jugoslava, mentre transitavano per il Brennero.
E’ passato più di mezzo secolo da allora: a Lipica ci sono 300 cavalli allevati in purezza e una scuola di dressage di livello mondiale, Piber conta 250 Lipizzani e Vienna, tempio della razza, 72 stalloni (e 23 cavalieri in grado di volare con loro sulle arie dell’Alta Scuola); in Italia abbiamo circa 200 soggetti nel Centro Sperimentale di Tor Mancina, a Roma, di cui alcuni addestrati per il dressage e gli attacchi e in forza ai reparti montati dei nostri Carabinieri.
La favola continua: lunga vita a Sua Altezza Imperiale, il Lipizzano.
La Walt Disney su questa ultima parte della storia nel 1963 ha anche fatto un film, L’ultimo treno da Vienna (Miracle of the White Stallions)
Sei padri per diciassette madri.
Le principali linee paterne del Lipizzano sono sei, ognuna delle quali fa capo ad uno stallone messo in razza nel XVIII secolo:
Pluto- grigio, proveniente dalla Danimarca, nato nel 1765
Conversano – morello, Napoletano, nato nel 1767
Maestoso – grigio, Kladruber, nato nel 1773
Favory – grigio, Kladruber, nato nel 1779
Neapolitano – baio, Napoletano dal Polesine, nato nel 1790
Siglavy – grigio, Arabo dalla Siria, nato nel 1810.
Le principali linee materne sono diciassette: Sardinia, Spadiglia, Argentina, Africa, Almerina, Bradamanta, Englanderia, Europa, Stornella/Fistula, Ivanka/Famosa, Deflorata, Capriola, Rava, Gidrana, Djebrin, Mercurio e Theodorosta tra cui cui 4 Lipizzane, 7 Kladruby, 2 Kopcani e 1 Frederiksborg. I Lipizzani nascono morelli o bai oscuri, ingrigiscono con l’età ma a volte qualche soggetto mantiene il mantello scuro della giovinezza; una delle peculiari caratteristiche della razza è di produrre soggetti decisamente longevi, sani e attivi ben oltre i venti anni.
I cavalli Lipizzani nascono bai o morelli, è l’incanutimento precoce del mantello che li rende candidi. Quasi tutti, perché alcuni morelli rimangono tali: e vengono considerati un portafortuna di scuderia, a Vienna.
La Scuola di Equitazione Spagnola di Vienna
«Suo principale scopo è quello di conservare e coltivare l’arte dell’equitazione nella sua più alta forma di perfezione, l’Alta Scuola e testare continuamente resistenza, forza, carattere e temperamento degli stalloni per inserire in razza solo soggetti di qualità molto alta. Si valutano con esattezza l’anatomia del cavallo e le sue capaictà mentali, per domandargli grande resistenza alle richeiste dell’Alta Scuola senza provocare opposizioni di nessun tipo. Il primo lavoro comincia a quattro anni, a redini lunghe. E’ importante che il lavoro degli stalloni sia piacevole in gioventù per mantenere la loro buona volontà fino all’età avanzata. Un buon assetto è la base di ogni lavoro, in Alta Scuola ancora di più: per non disturbare il cavallo ma anche per l’estetica, perché montare a cavallo è un’arte ».
Nota Bene, i cavalli come i Lipizzani si dicono grigi, non bianchi: perché nascono bai o morelli, e diventano grigi con il tempo mantenendo la cute nera. I soli cavalli veramente bianchi sono quelli con la pelle rosa, che nascono già con il mantello candido.