Bologna, 14 dicembre 2024 – A volte le tradizioni di famiglia si devono interrompere: i tempi cambiano, il mondo si modifica di continuo a una velocità sempre maggiore.
Non senza rimpianti però, né senza desiderio di preservare comunque la memoria di quello che è stato: come spiega bene Giulio Gino Di Giacomo, che ci ha scritto tramite un comune amico.
“La mia iniziativa”, scrive Di Giacomo “la considero con umiltà foriera e portatrice di alcuni valori e riflessioni. Come ad esempio tentare di immortalare, di cristallizzare e di fotografare “jo mmastaro” , detto così in dialetto abruzzese, un lavoro artigianale di tre generazioni terminato con mio padre per “lasciarlo in ricordo e in dote” alle generazioni future. Con l’augurio che possa accendere e risvegliare ricordi ed emozioni oppure provare a far capire alle nuove generazioni di oggi “del tutto comodo e subito” la fatica dei nostri genitori. E quindi di provare a narrare e celebrare un’angolino di vita vissuta di una volta e purtroppo dimenticata, con l’auspicio di lasciare piccole e umili tracce positive”.
La lettera di Di Giacomo prosegue senza incertezze.
“Una cosa è certa comunque vada, è quella di essere contento e orgoglioso di poter far vedere agli occhi dei “viandanti” di oggi e di domani “jo masto”, il significativo monumento in bronzo che rimarrà lì, in bella vista, a Sante Marie a testimoniare un lavoro e un’epoca che non c’è più”.
Un lavoro ricercato anche dall’estero.
“A mio padre Di Giacomo Domenico, bastaio in Sante Marie da tre generazioni : i suoi basti arrivavano fino in Svizzera, in Austria, in Friuli, in Veneto, in Toscana, in Calabria. E non perchè mio padre avesse una visione di commercio oltre regione e internazionale, no. Ma perchè in questi posti erano andati a vivere i mulattieri di Cappadocia e paesi limitrofi. E volevano basti fatti su misura, secondo la grandezza del mulo o dell’asino, creati con amore e passione. Gli stessi che sono ancora usati oggi dai pochi mulattieri rimasti”.
Basti creati senza risparmiare nulla, perchè potessero durare nel tempo,.
“Tant’è che mi è difficile trovarne oggi qualcuno per ricordo personale di mio padre proprio perchè sono ancora usati da qualche mulattiere. La sella è per i cavalli, il basto è per il mulo e l’asino. La sella può essere anche fatta in serie, il basto no: va fatto su misura poichè l’animale deve sentirsi fasciato affinchè il peso portato per ore non dia fastidio e non rechi danno”.
L’importanza delle materie prime
“I basti di una volta erano fatti con materiale d’eccellenza : gli arcioni (due per ogni basto) di legno ricurvo naturalmente li sceglieva lui personalmente, scartando quelli poco affidabili. Particolari e personalissime scelte erano fatte sulla tela, sulla paglia, sulle tavole (due per ogni basto) rigorosamente tutte di un pezzo, che piegava lui personalmente con il fuoco e bagnandole con l’acqua, e per lo spago. Ulteriori e rigorose selezioni erano riservate per il pelo animale che faceva arrivare, in grosse balle, da Genova e che riusciva, con tanto sudore, a rendere soffice e vellutato, liberandolo da impurità e residui con una speciale e originale macchina con rulli a mano che purtroppo è andata perduta. Stesso discorso di accurata selezione per i capperoni: erano fatti con grossi tubi antincendio in disuso di prima qualità, che tagliava e riscaldava al sole o al tubo della stufa perchè risultassero più morbidi. Li prendeva da Claudio di Celano. Portava la stessa attenzione nella scelta di un particolare pellame nero e, addirittura, per i più umili chiodi: sì, anche questi avevano per lui una grande importanza”.
Su misura
“Le misure venivano prese sul mulo e sull’asino che avrebbero portato quel basto presso la sua bottega, o inviate per posta dai mulattieri più lontani. Ciò che usciva fuori dall’artigianale e magico assemblaggio manuale dopo aver usato faticosamente l’ascia, dopo aver faticosamente fatto i buchi sul duro legno a mano ( il trapano elettrico è stato inventato dopo e, quindi, adoperato solo negli ultimi anni) e usato grossi aghi era il suo “mmasto”, che veniva alla fine quasi accarezzato dalle sue grosse mani, callose e indurite. Il suo “mmasto” era un mix di profumi, magici odori di sudore, di legno, di spago, di paglia, di tela, di capperoni, di pelo animale e di pelle. Sembrava che anche gli stessi chiodi profumassero . Per i mulattieri, Domenico Jo Mastaro era affidabile, perchè i suoi basti non si rompevano mai, sembravano fatti con l’acciaio”.
Muli e taxi
“Mio padre ha fatto scuola, ha insegnato a molti. Per sei mesi a Sante Marie e per sei mesi si trasferiva a Cappadocia, paese di mulattieri. A distanza di anni, davvero una fotografia del mondo che cambia, d’estate la piazza di Cappadocia diventava gialla per via dei tantissimi taxi: perchè molti mulattieri avevano venduto i loro muli e acquistato licenze di taxi a Roma, e con quelli tornavano al paese”.
Insegnamenti silenziosi
“A ricordo dei tempi andati nella piazza di Cappadocia c’è oggi una statua in bronzo del mulo con “jo mmasto” e legna e a Sante Marie c’è una statua in bronzo del basto. Ringrazio mio padre, cui dedico queste due righe, per gli insegnamenti che mi ha dato anche con i dui sguardi e con i suoi silenzi. Mi ha lasciato magici ricordi di profumi che non sento più”.
Giulio Gino Di Giacomo
Qui un’altra storia bella di bastai, dal Molise