Roma, 20 dicembre 2023 – All’indomani della decisione dell’uscita dell’Italia dalla via della seta, è impossibile non percepire il peso delle conseguenze economiche (e storico culturali) che può avere una scelta del genere. Anche per coloro che non sono interessati al dibattito politico, il termine “via della seta”, che forse sarebbe più corretto definire concetto, evoca immediatamente il fascino di paesaggi lontani, il mistero delle carovane di cammelli che attraversano silenziosi deserti, in fila uno dietro l’altro.
Lunghe fila di uomini e animali rischiavano la vita per portare in Occidente pregiate merci, spezie, stoffe e, forse ancor più preziose per tutti noi, lontane conoscenze.
Più di 2.000 anni di storie portate dal vento, terre remote, racconti di posti inimmaginabili, che viaggiavano lentamente, arricchendosi dell’incontro di popoli diversi. Storie di uomini, di magie, di luoghi e, soprattutto, storie di cavalli.
Ed è proprio una storia di cavalli quella che nel lontano 106 a.C. aprì le porte della via della seta.
Ovviamente questa non è la storia di semplici cavalli (come potrebbero mai esserlo?), bensì è il racconto dell’amore del grande imperatore cinese Wun Di per i “cavalli celesti” che rivoluzionarono, involontariamente, la storia della nostra parte di mondo.
Ma iniziamo dal principio, riprendiamo la via della seta a ritroso, nel tempo e nello spazio, arrivando fino alla Cina dei primi secoli a.C., quando la dinastia imperiale Qin era ormai giunta alla disperazione a causa dei continui attacchi delle tribù nomadi originarie delle steppe della Siberia, Mongolia e Manciuria. Fino a qui la storia è nota, tutti conoscono le vicende degli Unni (chi non ha visto Mulan?), ma in verità noi stiamo parlando di un’epoca molto precedente, quando ancora la Grande Muraglia era in fase di costruzione.
Spesso chiudersi dentro e costruire un grande muro difensivo sembra essere l’unica soluzione possibile per fermare le continue irruzioni di chi è considerato estraneo a noi. Ma l’Imperatore Wun Di sapeva che non sarebbe bastata una barriera. Da uomo saggio qual era, comprese che la conoscenza è l’arma più letale e devastante possibile. Per cui decise di inviare un suo uomo fidato, di nome Zang Qian, nel territorio nemico, per cercare alleanze e scoprire quale fosse il segreto militare che dava un così grande vantaggio a un esercito tanto piccolo quanto micidiale.
Zan Qian partì seriamente intenzionato ad essere fortunato, ma il destino non era d’accordo e lo condusse con sé per ben 13 anni, quasi da far invidia ad Ulisse, tra prigionie, viaggi e la scoperta di nuovi popoli.
Nonostante tutte le peripezie, quando ormai l’imperatore iniziava a perder le speranze, Zan Qian ritornò a casa e portò con sé una grande novità: aveva scoperto una nuova terra chiamata Ferghana (attuale Tagikistan) che custodiva il segreto del successo militare delle tribù nomadi. Questo lontano popolo allevava dei cavalli unici, “inviati dal cielo che sudavano sangue”. E non era un eufemismo, questi cavalli pareva veramente che sudassero sangue, perché in effetti era così. Solo nel XXI secolo il mito è stato sfaldato ed è stato dimostrato che l’origine della presenza del sangue nel sudore fosse dovuta ad un parassita della pelle.
Ebbene, i cavalli sacri di Ferghana erano il segreto militare che mise in ginocchio il grande impero cinese. Cavalli molto diversi rispetto a quelli in dotazione all’epoca all’esercito imperiale cinese, che erano piccoli, tozzi, lenti e con il collo corto. L’opposto rispetto a questi cavalli inviati dal cielo: alti, snelli, veloci e con il collo arcuato.
La decisione dell’imperatore fu immediata: voleva i cavalli di Ferghana, e li voleva subito. Ma anche questa volta il destino si divertì a mettere il suo zampino. Non bastarono alcune spedizioni militari. Tanti furono gli ostacoli che fermarono la volontà dell’imperatore, e a nulla valsero i suoi ordini. Il popolo di Ferghana proteggeva gelosamente i propri cavalli celesti, gli intermediari tra uomo e Dio.
Come si sa gli imperatori sono prima di tutti degli uomini, e per quanto Wun Di non aspirasse alla mortalità cedette all’ira umana e inviò una vera e propria carovana, fatta di 60.000 persone. Uomini e animali, tutti in fila, uno dietro l’altro, hanno lentamente avanzato disegnando con non poca fatica la propria strada attraverso deserti e valichi di montagna per conquistare il popolo di Ferghana. E questa volta l’impresa riuscì. Ma l’imperatore riuscì non solo ad avere i cavalli celesti che sudavano sangue, senza rendersene conto riuscì anche ad aprire la via della seta, dove una delle prime o ultime tappe, in base alla direzione del viaggio, è proprio Dayuan, la capitale della Valle di Ferghana.
E così, l’imperatore Wun Di ebbe i suoi tanto desiderati cavalli per il suo esercito che riuscì finalmente ad affrontare, ad armi pari, le tribù nomadi che vivevano oltre la muraglia, ma al contempo inaugurò, in modo inconsapevole, la via verso un nuovo mondo. Quello che sarà poi il nostro mondo.
Aprì la strada verso Ferghana che per lui era un modo di scambiare e di acquisire i migliori soggetti tra i cavalli celesti, progenitori degli odierni Akhal-Teke, custoditi gelosamente nelle scuderie imperiali. Una strada questa fatta per i cavalli e nata da una storia di cavalli ma che ha anche aperto il sentiero verso Roma, disegnato dal vento di oltre 2.000 anni di storia, dando così origine a quella che è stata una delle più grandi rivoluzioni del mondo antico, plasmando profondamente le nostre culture e coscienze fino al giorno d’oggi: la via della seta.