Bologna, 13 maggio 2021 – Ne abbiamo scritto su Cavallo Magazine qualche tempo fa, ma le storie belle vale sempre la pena di sentirle più di una volta.
Come quella del Lusitano, nobilissimo cavallo portoghese.
Il Portogallo è l’ultima striscia di Europa prima dell’Atlantico, a ovest di tutto il resto del continente e appena prima di un oceano che ruggisce, preme e stringe quei 92.000 km. quadrati di terra dolce e ondulata contro i fianchi duri della Spagna.
Dieci milioni di abitanti, una storia fatta da emigranti conquistatori che hanno costruito un impero.
E’ ormai scomparso ma che andava dal Brasile all’Angola, dalla Malesia al Giappone senza tralasciare qualche pezzo di India, Cina e Indonesia.
Tutto perduto, scivolato via dalle mani del destino che da queste parti si chiama fado e sa di nostalgia e tristezza dolce, quella saudade che i portoghesi si sono portati dietro nel mondo ovunque andassero.
Gente coraggiosa, i portoghesi: scacciarono i Mori invasori dal loro regno prima ancora che riuscissero nella stessa impresa i cugini spagnoli, vicini scomodi anche loro.
E prima causa della costante necessità di mantenere sempre in piena efficienza il loro piccolo ma curatissimo esercito che aveva l’arma migliore nella sua cavalleria.
Ovviamente il soggetto di elezione scelto per quest’ultima era il cavallo da sella iberico.
Conosciuto di volta in volta come Andaluso, Spagnolo, Ginetto, Cartujano e altro ancora differiva di poco a seconda delle località e delle razze (intese come allevamenti) di provenienza.
Ma traeva invariabilmente origine dal magico incrociarsi di sangue berbero e orientale con i soggetti indigeni provenienti dal Nord Europa, più freddi e potenti, reso possibile dalle invasioni islamiche dell’VIII secolo d.C.
L’esigua estensione del territorio portoghese non ha mai permesso un allevamento del tipo spagnolo basato su un gran numero di capi.
In Spagna era possibile selezionare diversi tipi di cavalli, ognuno dedicato ad un preciso compito.
Ma in Portogallo l’indirizzo di allevamento era praticamente unico, dovendo ottimizzare al massimo le risorse esistenti (sia di pascoli che di cavalieri: poca terra e pochi uomini, non dimentichiamolo) e quasi tutti i cavalli da sella erano del tipo più puro e delle linee più pregiate.
Gentiluomi e Campinos (i mandriani a cavallo) montavano tutti purosangue Andalusi.
L’unica differenza era che ai primi venivano riservati gli stalloni mentre i secondi (e le donne) montavano i castroni e le giumente.
Per secoli sono stati importati dalla Spagna i soggetti migliori, e tutti gli sforzi dei portoghesi dal XVII secolo in poi sono sempre stati concentrati nel preservarne la purezza.
Così quelli che solo dal 1966 vengono chiamati Lusitani (dal nome dell’antica provincia romana di Lusitania, corrispondente all’odierno Portogallo) sono probabilmente i più diretti discendenti dei soggetti che nel Rinascimento resero famosi in tutta Europa gli allevamenti iberici.
Ma per fare un cavallo come il Lusitano non basta la genealogia, quello che rende questi soggetti così preziosi e particolari è la loro capacità di svolgere il lavoro per cui sono stati creati: il combattimento.
Ebbene sì, la storia del Lusitano è fatta di quella forma ritualizzata di battaglia che è il combattimento coi tori e che non può prescindere da una profonda, completa conoscenza della difficile Arte dell’Equitazione di Scuola.
Da secoli questi cavalli vengono allevati per diventare l’altra metà di un binomio che è quanto di più simile a un Centauro sia dato dato di vedere ai nostri giorni.
La rispondenza perfetta del cavallo alle indicazioni del cavaliere è indispensabile.
Non solo per danzare in sicurezza con il toro (il terzo, importantissimo protagonista di questa rappresentazione quasi sacra) ma anche per riscuotere l’ammirazione del pubblico esperto e raffinato delle corride.
Diversamente che in Spagna, l’interesse principale non è la morte del toro.
Quello che si vuole vedere è il coraggio del cavaliere, la sua abilità nel rimanergli vicino e provocarne gli attacchi per poi eluderli con grazia, in un fraseggiare di movimenti di scuola che richiedono sangue freddo e tecnica impeccabile.
Un obiettivo che richiede anni di lungo addestramento.
E che giocoforza insegna a preservare l’integrità fisica e psicologica dei soggetti: il Lusitano è un cavallo piuttosto tardivo nello sviluppo, e viene lasciato al pascolo sino a tre, quattro anni di età per poi essere portato in scuderia e iniziato al lavoro in modo graduale.
L’accrescimento fisico dei puledri non è completo sino ai sei anni di età, e gli impegni del giovane cavallo vengono calibrati con attenzione per non sciuparne la freschezza fisica e mentale.
Doti che saranno di fondamentale importanza per la sicurezza del binomio nell’arena: va da sé che costruire un cavallo così raffinato richiede cavalieri sopraffini, e il Portogallo ha avuto la benedizione di averne visti nascere tanti entro i propri confini.
Da Re Duarte (che già nel ‘400 nel suo “Libro Da Arte de Domar os Cavallos” sottolineava l’importanza della leggerezza degli aiuti, alla faccia del Grisone e delle sue imboccature in stile Vergine di Norimberga) al Marchese di Marialva, allievo di La Gueriniere fino a Manuel Carlos de Andrade (autore de «Luz da Liberal e Nobre Arte da Cavallaria»); la scuola portoghese ha sempre potuto contare su maestri che tramandavano la cultura della leggerezza, cercando il sensibile contatto tra cavallo e cavaliere come base fondamentale di tutto un lavoro giocato sul filo dell’estetica più raffinata, fatta di aiuti invisibili e coscienza precisa di ogni equilibrio.
L’ultimo dei grandi: Nuno Oliveira (1925-1989).
Dal suo piccolo regno di Quinta do Brejo ha saputo incantare quanti, come lui, credono “…nell’equitazione accademica latina, che accomuna i vecchi popoli latini, montati su cavalli insanguati, delicati, espressivi, non per tutte le mani, inadatti all’equitazione meccanizzata e di routine che oggi primeggia nella competizione, nel così detto dressage, sotto l’alto patronato dei rappresentanti di ciascun paese nel consesso internazionale che emana i regolamenti, rappresentanti che si son dati carico di dirigere e controllare la competizione, rappresentanti che non di rado non hanno preparato in vita loro un cavallo per una ripresa accademica” (da A cavallo di un secolo, del colonnello Paolo Angioni).
Per fare un cavallo serve un cavaliere, per fare i Lusitani ci sono voluti i portoghesi e tutta la loro raffinatezza di cavalieri colti…e ogni riferimento ad altre realtà equestri realmente inesistenti non è per niente casuale.
L’altro Iberico
Virtualmente indistinguibile dal cugino spagnolo e fino al 1966 definito semplicemente come cavallo da sella Iberico portoghese, il Lusitano si differenzia per il tipo di selezione operata in razza. Una delle poche differenze morfologiche è il profilo della testa che nel Lusitano è più spesso convesso, al contrario del tipo moderno di Pura razza Spagnola che tende ormai a ricercare un profilo più orientale. L’altezza media al garrese è di 155 cm. per le femmine, 160 per gli stalloni; sono ammessi tutti i tipi di mantello ma i più diffusi sono il grigio e il baio. Di temperamento è coraggioso, nobile e ardente ma anche gentile e capace di infinita pazienza. Ha grande capacità di concentrazione (indispensabile per l’apprendimento dei complicati esercizi di scuola) e si dimostra un ottimo soggetto anche per gli attacchi, il dressage e l’equitazione di campagna.
La tourada
Il cerimoniale prevede l’entrata dei cavaleiros nella praca de touros al suono di una fanfara di trombe: l’arena portoghese è molto più piccola della plaza spagnola, quindi il cavallo non viene mai lanciato al galoppo disteso e deve manovrare di agilità e destrezza. Lo scopo della tourada è mettere in mostra coraggio e capacità del binomio: il cavallo deve dimostrarsi completamente agli ordini del cavaliere, tranquillo ed elegante nei movimenti anche nei momenti più spettacolari, come quando il cavaleiro lo fa volteggiare ad un galoppo raccolto e cadenzato appena davanti al toro, con la coda del cavallo che sfiora le corna del toro dietro di lui per almeno trenta secondi.
E’ molto importante che il cavaliere sappia avvicinare il toro nel piccolo spazio disponibile sempre da angolazioni diverse, perché la notevole memoria del toro gli permetterebbe di trovare un punto debole nelle traiettorie del cavallo se queste venissero ripetute più volte di seguito, con grave rischio per il binomio. Il cavaliere provoca l’attacco del toro con i movimenti del cavallo, e solo quando il toro galoppa verso di lui può piantargli fino a sei banderillas nel collo per fargli abbassare la testa e dargli il colpo di grazia.
Un cavallo bene allevato
Le più importanti fiere dedicate al Lusitano sono due, la fiera di Santarem in giugno e quella di Golega in novembre, dedicata ai riproduttori. Specialmente quest’ultima è una vera, totale immersione nel suo mondo: centinaia e centinaia di stalloni Lusitani sono ospitati in ogni casa, in ogni cortile – magnifici Lusitani ovunque, legati insieme a gruppi come se niente fosse. A un ospite che mostrò stupore per la tranquillità dei soggetti (tutti interi, quindi per lui potenziali pericoli pubblici) rispose un elegante gentiluomo portoghese il quale, con un mezzo sorriso, fece notare che “I cavalli iberici sono nobili: non mordono e non calciano. E non è forse vero che in tutto il mondo gli aristocratici sanno istintivamente come devono comportarsi?”.
Noblesse oblige: e comunque anche i cavalli interi devono imparare le buone maniere.