Parma, 18 gennaio 2021 – Se nella storia della gente c’è un cavallo, state sicuri che ci sono anche tutte le piccole cose che completano il suo mondo.
Ed essendo il cavallo Bardigiano profondamente intrecciato alle vite degli uomini attorno a lui i finimenti che lo vestivano, come la bardelletta, sono speciali.
Verrebbe la tentazione di immaginare che il nome di questa sella sia legato in qualche modo al paese di Bardi, che da qualche decennio dà il nome alla razza.
Ma in realtà si tratta di un caso, e bardelletta è semplicemente il diminutivo di bardella.
Che adesso associamo ai butteri e alle Maremme, ma era in origine “…la sella con un piccolo arcione dinanzi, usata dai poveri e dai contadini”.
Realizzata con una dimensione e un peso che si adattava alla taglia del suo destinatario di elezione, la bardelletta era tradizionalmente completata dal sottocoda e dal pettorale.
Quest’ultimo particolarmente curato e decorato, come vedremo.
Entrambi questi finimenti, così come l’ingombro ridotto della sella rispetto alla bardella propriamente detta, erano funzionali all’ambiente in cui uomini e cavalli vivevano.
Cioè la montagna, con i suoi dislivelli e i suoi sentieri dissestati.
Ma se sottocoda e pettorale dovevano tenere ben ferma la sella e non fiaccare il cavallo, quest’ultimo aveva anche l’incarico di “parlare” al mondo circostante.
Ed è qui che entrano in campo grillere e bronzinere.
Cioè pettorali decorati da bubboli o campanelle, che davano letteralmente voce a cavalli e cavalieri.
La gente riconosceva chi stava arrivando dal concerto particolare di ognuna, sapeva che c’era qualcuno per strada e dove si trovava.
In più il tintinnare era utile anche ad avvertire eventuali selvatici dell’arrivo di qualcuno, sgombrando così la strada da incontri poco desiderati da entrambe le parti in causa.
Terza e ultima funzione di questi finimenti, sottolineata dall’abbondanza di fiocchi e pon-pon in lana colorata, era l’allegria.
Perché provateci voi a guardare un Bardigiano che arriva trottando con tutta la sua energia facendo risuonare la sua grillera al ritmo della sua energia e non sorridere, se ne siete capaci.
Noi non ce la possiamo fare.
Qui un’altra sella italiana a diffusione regionale, ulteriore segno della profonda cultura equestre nazionale: il basto sardo.