Bologna, domenica 3 Marzo 2024 – “Noi siamo il popolo dei cavalli. Tutto il mondo ci sta guardando”
E’ con queste parole che l’anziana della tribù indigena americana Xeni Gwet’in denuncia la tragedia che la sua popolazione sta vivendo da più 120 anni.
Era il 1896 quando nella Columbia Britannica fu approvata la legge per l’eradicazione dei cavalli selvaggi, ad oggi non ancora abolita. Una mostruosità questa che diventa ancor più terrificante davanti alla consapevolezza che questi cavalli non sono cavalli di nessuno, bensì appartengono culturalmente e storicamente alle tribù indigene di queste zone che compongono le Prime Nazioni del Canada. Hanno anche un nome: Qiyus (che noi traduciamo in: cavalli selvaggi di Chilcotin).
Sono stati numerosi gli abbattimenti che si sono susseguiti in questo secolo, uno degli ultimi è avvenuto proprio ad inizio dello scorso anno, quando 17 cavalli sono stati ritrovati uccisi da colpi di arma da fuoco nella sperduta regione di Kamloops.
Quelli che, secondo il governo della Columbia Britannica, deteriorano il suolo generando un “pascolo eccessivo” sono 2.800 cavalli, in 770.000 ettari. Nonostante le continue proteste delle tribù dei Tsilhqot’in (Prime Nazioni del Canada), la lotta contro i cavalli selvaggi continua. Il Ministero canadese della gestione dell’Acqua, del Territorio e delle Risorse ha affermato di non considerare questi cavalli in libertà dei “selvaggi” ma solo dei “rinselvatichiti”, che sono perciò esclusi da qualsiasi protezione, ai sensi del Wildlife Act.
Perciò sono dei cavalli che appartengono culturalmente alle tribù indigene canadesi, che amano e proteggono, ma che al contempo vengono uccisi o catturati in quanto ritenuti dei “parassiti” dal governo canadese. Per citare le celebri parole utilizzate in un’altra grande storia (la vicenda di Balto e Togo): non sono né selvaggi e né rinselvatichiti, sanno soltanto quello che non sono.
Ma in verità questi cavalli hanno una loro identità ben precisa: sono testimoni dell’incontro di popoli e di persone, dove uno non deve necessariamente distruggere l’altro per poter sopravvivere.
Il biologo Awyne Mcroy ha portato all’attenzione del grande pubblico la questione dei cavalli Qiyus e delle loro origini. Non sono dei parassiti, bensì sono una componente essenziale dell’ecosistema in cui vivono e che, anzi, preservano.
Infatti, uno dei genetisti più esperti al Mondo di DNA equino, Dr. Cothran, ha condotto, insieme a McRoy, uno studio presso la Texas A & M University che ha dato dei risultati più sorprendenti del previsto e testimoniano ancora una volta come i cavalli nel continente americano non siano arrivati solo con i conquistadores spagnoli.
McRoy e Cothran si sono trovati davanti alla coincidenza del DNA tra i cavalli Qiyus e i cavalli russi Yakut, originari della Siberia. Sono pochissimi gli antenati spagnoli di questi cavalli canadesi, mentre la linea genetica dei Yakut è preponderante, insieme a quella del Canadian Heritage Horse inviati da luigi XIV (Re Sole) nel 1665, oggi a rischio di estinzione.
Gli Qiyus sono perciò i cavalli delle tribù indigene canadesi, testimoni dell’incontro e dei passaggi di diversi popoli, dove la sorpresa più grande è data proprio dalla presenza, come suo antenato, del cavallo Yakut. Questo è l’unico cavallo al mondo capace di sopravvivere a -70° e celebre per aver fatto una delle più veloci evoluzioni della specie al mondo: in 100 generazioni è stato capace di mutare il proprio patrimonio genetico per adattarsi all’ambiente circostante.
Un recente studio, condotto dal dott. Ludovic Orlando, ha dimostrato di come il cavallo Yakut abbia una particolare pletora di geni di cui alcuni sono condivisi con, addirittura, i gruppi umani originari della Siberia e, attenzione, con il mammut lanoso, oggi estinto.
Cosa ci vogliono dimostrare tutti questi studi? Che il cavallo Qiyus è un importante testimone della storia d’America, in lui si spengono le guerre dei conquistatori spagnoli o francesi, ma convivono le diverse “dominazioni” sotto la protezione e l’amore dei primi popoli nativi in queste terre. Non sono cavalli parassiti da eradicare, in quanto distruttori del territorio, ma sono eredi di un patrimonio storico-culturale non solo delle tribù indigene, ma di tutta l’America.
La loro esistenza apre una nuova strada verso l’ipotesi che i primi cavalli possano essere arrivati nel Nuovo Continente attraverso lo stretto di Bering.
“Noi siamo il popolo dei cavalli. Tutto il mondo ci sta guardando”