Bologna, martedì 10 dicembre 2024 – Il 10 dicembre 1948, sotto il cielo terso di una soleggiata ma fredda Parigi, la vita ricomincia. Nessun vinto e nessun vincitore ha più intenzione di rivivere le atrocità che la Seconda Guerra Mondiale ha portato con forza nelle vite di tutti. Solo una consapevolezza permette la rilenta ripresa della vita: indietro non si torna, mai. Certe ingiustizie non saranno più accettate. E’ con questo spirito che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò e proclamò la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
E’ strano pensare che si debba festeggiare la proclamazione di un riconoscimento che sentiamo nostro come diritto di nascita, inscindibile dalla nostra condizione di esseri umani. Purtroppo, non è così e ce lo dice chiaramente il Segretario Generale delle Nazioni Unite (ONU) che proprio oggi afferma: “Nella Giornata dei Diritti Umani, ci troviamo di fronte a una dura verità: i diritti umani sono sotto attacco”.
Davanti a una simile affermazione non può che sfuggirci un sorriso, ironico e forse beffardo. Il sorriso della nostra piccola parte di mondo da cui osserviamo comodamente il resto del Pianeta. E, senza andare troppo lontani, possiamo vedere che un altro sorriso, ma di speranza e di liberazione, si apre oggi sul volto di Ben Freeth, che in questo momento sotto un caldo e soleggiato cielo d’Africa, sta compiendo un viaggio a cavallo di oltre 2.100 km per dimostrare al mondo che anche lui è un essere umano e meritevole del rispetto dei diritti umani.
Perché stiamo parlando di Ben Freeth e del suo cavallo Tsedeq?
Ben Freeth è un normale contadino dello Zimbabwe che un giorno, nel 2008, vide arrivare dei veterani di guerra, dell’ex Presidente Robert Mugabe, che sequestrarono lui e la sua famiglia. Dopo averli trascinati in una boscaglia, li picchiarono e torturarono senza un’evidente spiegazione. Ma poi la risposta arrivò: Ben era colpevole di aver denunciato lo sfratto, illegittimo, i soprusi e le violenze subite dai contadini della zona, i suoi vicini.
Questo non poteva essere accettato e, dopo numerose spedizioni punitive per ridurre Ben al silenzio, la sua fattoria venne bruciata e rasa al suolo.
Diritti Umani? Diritti dell’uomo e del cittadino? Una grande risata riecheggia davanti a queste insignificanti parole.
Di fronte alla noncuranza e alla violenza della tirannia, Ben aveva solo una soluzione: rivolgersi al Tribunale della Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe (SADC) che si trova a Windhoek, in Namibia.
E, come mai verrebbe in mente a nessuno di noi, anziché mandare una semplice e veloce e-mail, Ben preferisce sellare il suo Tsedeq (che tra l’altro in ebraico significa “Giustizia e Rettitudine”) e insieme partire alla volta della sede del Tribunale SADC per tentare di ristabilirlo, nella speranza che sia un passo verso il rispetto dei diritti umani in Zimbabwe.
Per i primi 800 km Ben e Tsedeq hanno dovuto camminare nella boscaglia, nascondendosi costantemente e non rendendo pubblico il loro viaggio per sfuggire a possibili, e non irrealistici, tentativi di fermarli. Solo dopo aver attraversato il confine con la Striscia di Caprivi in Namibia, ha potuto condividere la sua impresa con il mondo attraverso un blog che aggiorna quotidianamente. Potete seguirlo anche voi: https://www.mikecampbellfoundation.com/post/long-ride-for-justice
Anche in questo caso, come in tante altre storie, la corsa verso la giustizia si fa in sella. E questo caso è ancor più significativo, perché Ben avrebbe potuto scegliere tanti altri mezzi di trasporto, ma ha preferito Tsedeq. Ben non voleva un mezzo di trasporto, ma voleva un compagno di viaggio e di vita con cui condividere questa esperienza e aiutarsi a vicenda.
“La riflessione più importante che ho fatto”, ha detto Ben “attraversando lo Zimbabwe è stata: “cosa ha veramente valore?” E il viaggio mi ha risposto a questa domanda: dipendiamo dall’acqua, dall’erba e, soprattutto, dall’amore.”
Seppur viviamo nell’era della globalizzazione, avvolti dall’avvento dell’Intelligenza Artificiale, non esiste ancora un modo, e siamo certi che mai esisterà, di poter sostituire quello che Tsedeq ha fatto per Ben. Non si tratta solo di vivere un’avventura, che sarebbe certamente impossibile senza l’aiuto e il sostegno del cavallo, ma è proprio Tsedeq ad aver dato la forza a Ben di andare avanti alla ricerca della giustizia. E’ proprio grazie a Tsedeq che tanti cavalieri africani aspettano Ben e lo accompagnano a cavallo per alcuni tratti di strada dandogli il sostegno e la motivazione necessari. E’ proprio per poter aiutare Tsedeq che tante persone hanno aspettato Ben in alcuni punti del suo viaggio per fornirgli acqua e foraggio.
“È stata un’esperienza difficile ed emozionante cavalcare e camminare da soli tra la remota popolazione rurale dello Zimbabwe e sperimentare la loro gentilezza, nonostante le loro difficoltà e la loro povertà opprimente.” Racconta Ben, “tutti erano ansiosi di aiutarmi a trovare acqua e pascoli per Tsedeq”.
Sotto il cielo terso della Namibia, il viaggio di Ben è ancora lungo. Ha dovuto cambiare cavallo, ma il suo volto rimane, oggi, sorridente, così come quello di tante altre persone che Ben incontra sul suo cammino che, come lui, credono nel futuro e nella giustizia, certi che indietro non si torna, mai.
Una lunga corsa per la giustizia a cavallo, per dimostrare che certe atrocità non saranno più accettate.