Roma, 5 dicembre 2023 – Oggi 5 dicembre è la giornata internazionale del volontariato che tutti celebriamo. Ma non è solo questo. Senza nulla voler togliere al volontariato, oggi è un giorno speciale perché, su iniziativa dell’ONU e della FAO, si celebra anche il suolo.
Suolo inteso come montagna, come miniera, come bosco, talvolta come spiaggia e, forse in modo ancor più significativo per noi, come campagna.
Ed è proprio in una stradina della campagna inglese, in una soleggiata domenica mattina del 1970, che un ragazzo americano in servizio presso la US Navy d’istanza a Londra, si perse in moto tra i dolci sentieri che attraversano i tipici campi verdi anglosassoni. Nel ricercare la strada di casa, il giovane marinaio si volse di scatto e incontrò lo sguardo di una giumenta di Suffolk Punch che camminava per la sua strada, con un bambino come compagno.
Il ragazzo era Jason Rutledge e, probabilmente, come me dopotutto, non ne avete mai sentito parlare prima d’ora, ma la cui storia dovrebbe essere raccontata ad ogni bambino e futuro uomo (è diventata anche un documentario, Somehow hopeful: The Story of a woodsman).
Esiste una zona, in Virginia, chiamata Appalachia. Più che una zona la si può definire una regione culturale degli Stati Uniti avvolta, nell’immaginario comune, da una fitta nebbia di miti e leggende che trovano origine nella catena montuosa che l’attraversa (i Monti Appalachi, per l’appunto).
Ebbene, in questa remota regione del Nord America vive Jason Rutledge, ritornato in patria dopo il servizio militare, è oggi diventato uomo e, per la precisione, boscaiolo. Fino a questo punto sembrerebbe non esserci niente di speciale nella sua storia e invece la sua importanza risiede proprio nella sua attività.
Infatti, non è un boscaiolo comune, Jason è il fondatore della silvicoltura sostenibile e riparativa, ossia l’abbattimento selettivo degli alberi il cui principale obbiettivo è non solo la salvaguardia dell’ecosistema del bosco, ma la sua rigenerazione. Ed è qui che avviene la grande rivoluzione in corso.
Ovviamente, come in tutte le narrazioni, è presente una storia nella storia, in quanto la pietra miliare della rivoluzione di Jason risiede proprio nell’utilizzo dei cavalli per il trasporto dei tronchi e per tutte le mansioni legate alla sua attività di boscaiolo. Ed ecco che torniamo alla domenica mattina del 1970 nel Regno Unito: il cavallo portato a mano da un bambino che il Jason ragazzo vide, non era un semplice cavallo (ma come poterne dubitare?), bensì era un Suffolk Punch, uno dei rari cavalli inglesi agricoli sopravvissuti dopo l’avvento delle macchine agricole.
Ma non fu la razza ad impressionarlo, né tantomeno la stazza, quanto la bellezza di questa giumenta dallo sguardo intelligente che lo colpì in modo così profondo da non riuscire più a dimenticarla. Un ricordo che riaffiorò in modo improvviso molti anni dopo, durante un pranzo di Natale, a casa della madre di Jason, dove, sfogliando un libro di razze equine, lui la riconobbe in una foto. L’aveva ritrovata e questa volta non perse tempo: rintracciò il proprietario della cavalla (il cui indirizzo era sotto la foto) e scoprì che purtroppo la giumenta non c’era più ma che, in modo del tutto inconsapevole, aveva acquistato proprio una sua figlia, per avviare la sua attività di boscaiolo.
Ecco che si spiega come mai tanti Suffolck Punch si aggirino tra la nebbia delle foreste dell’Appalachia, accompagnati da un anziano uomo che scruta con grande attenzione albero dopo albero.
Come si collega la storia di un boscaiolo alla giornata mondiale per il suolo? Poco sopra è stato affermato che Jason Rutledge abbia avviato una rivoluzione ed è proprio così. La sua rivoluzione, che ogni giorno ha sempre più adesioni, consiste nel diffondere tra gli agricoltori la consapevolezza che vivono in un sistema di vita di debito: le soluzioni ai problemi di oggi si trasformeranno, in un tempo veramente breve, in un nuovo problema del domani. Miliardi di dollari/euro spesi ogni anno in gasolio, fertilizzanti, azoto e fosforo, sementi geneticamente modificati per resistere alle intemperie e ai prodotti petrolchimici utilizzati per aumentare la produzione. Dopo una coltivazione OGM sono necessari tre anni per ristabilizzare il terreno in modo naturale.
Un ciclo vizioso senza fine e in totale declino dove l’utilizzo del Suffolk Punch è la più grande metafora di una possibile soluzione alternativa che è stata confermata anche dalla conferenza ONU di novembre 2021, in cui è stato considerata l’importanza dell’apporto degli equini nella lotta al riscaldamento globale (ad oggi si stima che oltre 500 milioni di persone, nelle comunità più vulnerabili, facciano ancora riferimento agli equidi per il proprio sostentamento).
L’equisostenibilità quindi, intesa come la migliore soluzione al cosiddetto carbon foot print (parametro utilizzato per valutare le tonnellate di CO2 emesse da un individuo o azienda per lo svolgimento della propria attività). In questo caso potremmo parlare dell’horse carbon footprint come principio fondante della rivoluzione di Jason Rutledge, dove ormai il termine “sostenibilità” risulta quasi superato: come possiamo sostenere, e tramandare, condizioni metereologiche estreme, siccità fuori controllo, surriscaldamento, erosione del terreno ed il totale degrado del suolo? No, la soluzione è rigenerare: ripristinare il mondo naturale e (di questo siamo assolutamente consapevoli di essere di parte), con i cavalli.
Certo è difficile affermare una tale consapevolezza all’indomani delle parole di Ahmed Al Jaber (CEO della più grande compagnia petrolifera emiratina) e rappresentate degli Emirati Arabi alla conferenza sul clima di Dubai 2023 dove afferma che “nessuna scienza dimostra che un’uscita dai combustibili fossili sia necessaria per limitare il riscaldamento globale”.
Nessuna storia degna di essere raccontata è mai stata facile e nessuna rivoluzione culturale è mai stata semplice. Quello che è certo è che Jason Rutldge stia combattendo una battaglia per sovvertire il paradigma dominante in cui si demanda il lavoro a chi fornisce un guadagno maggiore nel minor tempo, senza rispettare le risorse naturali.
Nessuna tecnologia, per quanto avanzata, potrà mai darci i servizi ecologici, i benefici vitali e i vantaggi ambientali che ci può dare una foresta rispettata come ecosistema e non sfruttata come mero insieme di tronchi.
Nessuna macchina potrà mai sostituire il buon giudizio di un cavallo, la sua determinazione nel collaborare e la sua volontà di fare bene per soddisfare il proprio compagno umano. Nessun robot sarà mai un compagno di vita e di lavoro, con cui poter donare insieme una vita futura anche alle nuove generazioni.
Ed è così, che lasciamo Jason Rutledge con i suoi Suffolk Punch nella penombra di una secolare foresta, mentre scruta gli alberi e, con grande sollievo di tutti noi, è seguito da un gruppo di apprendisti di tutte le età che lo ascoltano e imparano, con le redini in mano, che l’unico dividendo possibile non sia quello del profitto ma quello della dignità della salvaguardia dell’ecosistema.