Bologna, 7 maggio 2020 – Che quella di Bologna sia la più antica università d’Europa lo sanno anche i sassi: e uno dei libri più interessanti della storia dell’equitazione è stato edito per la prima volta nella colta Bononia per i tipi di Anselmo Giaccarelli nel 1556.
E’ il Trattato dell’imbrigliare, atteggiare e ferrare cavalli di Cesare Fiaschi, gentiluomo ferrarese: e ogni volta che lo leggi ti accorgi che i cavalli uniscono molto di più di quanto gli anni possano mai separare le persone che vivono per loro.
Nato nel 1523 da una famiglia di fedelissimi estensi (il nonno paterno Lodovico era il favorito di Ercole I, il fratello di Cesare sarà ambasciatore del ducato in Spagna e a Roma) Fiaschi parla poco di sé e dobbiamo contentarci di intravederlo in quel che scrive.
La mente logica e la conoscenza dei cavalli di Fiaschi escono vive da queste pagine: il suo Trattato non è come altri testi dell’epoca un confuso elenco di luoghi comuni conditi con sfoggi di cultura umanistica, lo ha diviso in tre parti per sottolineare l’importanza degli argomenti considerati.
La prima riguarda il modo di scegliere l’imboccatura più corretta ad ogni cavallo: scelta che Fiaschi fa dipendere da un esame attento della morfologia e dalle caratteristiche del soggetto, non dalle manie del proprietario spesso convinto di poter sopperire alle proprie manchevolezze comprandosi un morso “miracoloso”.
Poi viene la parte dedicata al maneggio dei cavalli, il lavoro in cavallerizza dedicato a movimenti e figure particolari come repoloni, parate e via complicando.
Qui l’autore ha un’intuizione brillante: rendere la giusta cadenza delle varie andature o la frequenza di certi salti collegandoli ad una musica riportata su pentagramma; una idea così nuova da far credere ad alcuni che fosse stato lui il primo ad inventare spettacoli equestri a suon di musica (mentre Grisone dice chiaramente che già a Sibari, ricca colonia greca della Calabria, “vi fu un tempo dove non solo gli uomini ma anche i cavalli al suon della sinfonia imparavano a danzare”).
Gli spettacoli come giostre equestri e caroselli erano spesso già accompagnati da trombe, chiarine e tamburi: Fiaschi fu semplicemente il primo a servirsene per dare una precisa misura di tempo; ed è una acutezza quasi logica in lui, nato in un ambiente dove musica e danza erano parte integrante dell’educazione dei giovanetti .
Poi, come non elevare un brindisi ideale a un gentiluomo di nome Fiaschi? magari con un Colli Bolognesi Classico Pignoletto Dop: fermo, bianco dai riflessi verdi e leggeri, delicato e fine. Nasce da uve Pignoletto almeno al 95% ed è il vino più rappresentativo della provincia di Bologna: il vitigno è affine al Grechetto Gentile ma autoctono della provincia e dà vita a vini inconfondibili nella loro struttura.
Da Bologna lungo la via Emilia si arriva dritti dritti a Modena, che le rivalità campanilistiche storiche tra vicini uniscono più di tante altre cose: e a Modena non ci sono mica solo cavallini.
Se il primo che vi viene in mente pensando a Modena è quello rampante della Scuderia di Enzo Ferrari vi sbagliate di grosso: questa piccola, accogliente città sa riservare qualche piacevole sorpresa a chi vuole trovare gli amati cavalli anche al di fuori del tempo dedicato allo sport.
Già il Duomo romanico è speciale, visto che sull’archivolto della Porta della Pescheria racconta la storia di re Artù e dei suoi cavalieri da prima che venisse scritta in francese.
Si tratta della più antica rappresentazione del ciclo arturiano di tutta Europa, mica noccioline.
Potete poi proseguire a raccogliere chicche equestri nel Palazzo dei Musei: la Biblioteca Estense conserva una delle collezioni accessibili al pubblico più ricche e interessanti dell’editoria a tema.
E’ il Fondo Andrea Mari, il dono di un appassionato ippofilo che voleva mettere i suoi gioielli di carta a disposizione di chi avrebbe voluto leggerli dopo di lui: non lo ringrazieremo mai abbastanza, e questo è uno dei nostri modi per farlo.
Poi già che ci siete fate anche un giro alle Raccolte del Museo d’Arte al terzo piano dello stesso palazzo: ci sono la ricca raccolta di morsi, staffe e sproni dei secoli XV-XIX appartenuta a Francesco Petermayer (maestro di equitazione delle scuderie ducali nella prima metà del XIX secolo) e un bellissimo sediolo della fine del XVIII secolo, con tutti i suoi finimenti splendidamente decorati.
Qui è di casa il Lambrusco di Sorbara Dop: il vino più modenese che c’è, tutta la sua zona di produzione è compresa nei confini dell’antica Mutina.
Colore rosso rubino e profumo di viola è la descrizione più classica: ma è un tipo vivace, a volte aspro ma senza cattiveria – proprio come si diverte ad essere la gente della Bassa.
Perfetto per accompagnare tutta la ricca cucina locale, ultimamente è stato valorizzato anche come aperitivo: basta servirlo fresco e si scoprono tutte le sue qualità, riportate in auge dall’alta qualità della produzione attuale.
Salute!