Milano, 26 novembre 2019 – Leonardo a Vinci era così celebre, già in vita, che altri artisti di valore nel disegno naturalistico hanno visto spacciare i propri lavori come prodotti di mano leonardesca: accadde così ad Antonio di Puccio Pisano (1390-1455), meglio conosciuto come Pisanello, i cui disegni venduti nel 1856 al Louvre dall’antiquario Giuseppe Vallardi erano stati dichiarati come opera di Leonardo da Vinci.
Successivi studi ne hanno poi attribuito l’appartenenza al legittimo autore, ma è interessante capire il perché sia stato possibile l’equivoco: probabilmente sia per i temi trattati, studi dal vero di cavalli e altri animali, che per la splendida resa naturalistica degli stessi, così realistici da essere poi eguagliati solo dallo stesso Leonardo e da Albrecht Dürer.
Molto interessanti, tra gli altri, quelli che rappresentano cavalli a figura intera o particolari delle teste, su cui è evidente una pratica che oggi non possiamo fare altro che trovare crudele: il taglio delle froge, un costume di origine bizantina che negli intenti doveva servire a migliorare la respirazione dei soggetti affetti da patologie respiratorie.
Argomento trattato da Leonardo da Vinci, non solo notoriamente vegetariano e universalmente conosciuto come persona rispettosa, gentile e cortese con tutti ma anche attento al benessere degli animali in virtù del suo modo di essere, dei suoi studi anatomici e delle sue osservazioni medico-scientifiche:
«L’atto di tagliare le narise ai cavagli è cosa meritevole di riso. E questi stolti osservan questa usanza quasi come se credessimo che la natura avere mancato ne’ le necessarie cose, per le quali li omini abbin a essere sua correttori».
Giordano Ruffo, la bolsaggine e lo zafferano
L’usanza di incidere le froge dei cavalli aveva, nelle intenzioni, lo scopo di alleviare la respirazione affannosa dei cavalli affetti da enfisema polmonare (o bolsaggine): è citata come ultimo rimedio da Giordano Ruffo nel suo «De medicina equorum», il primo trattato di veterinaria dell’Europa latina, che gli venne commissionato dall’imperatore svevo Federico II del quale Ruffo era funzionario, castellano e marestallo (maestro imperiale di mascalcia) «dei cavalli del mio Signore». Doveroso precisare che, prima dell’incisione e della focatura ai fianchi prescritte nei casi cronici, Ruffo prevedeva un più incruento tentativo di cura con la somministrazione di un beverone caldo nella cui composizione entravano il garofano, lo zenzero la galega, il cardamomo, il cumino, il finocchio selvatico e lo zafferano.
E a proposito della capacità del Pisanello di rendere in modo realistico i cavalli: cosa vi sembra questo?
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