Londra, 31 marzo 2020 – Anche Catherine Middleton, duchessa di Cambridge e moglie di William d’Inghilterra, tiene un libro di cavalli sulla scrivania: o meglio, un libro che parla (anche!) di cavalli.
Abbiamo potuto sbirciare la sua postazione di lavoro domestica in una fotografia apparsa sull’account Instagram dei duchi, Kensington Royal, dove si vede Kate che a causa delle limitazioni imposte dal Coronavirus tiene i contatti telefonici con alcune delle organizzazioni benefiche di cui si occupa: in particolare in questo periodo i Cambridge sottolineano l’importanza per ognuno di noi di prendersi cura del proprio benessere mentale, messo a dura prova dall’isolamento sociale.
Ma tornando all’argomento da cui siamo partiti, il volume in questione fa parte di una collezione speciale della Penguin Books dedicata ai classici più classici della letteratura inglese e illustrati dalla giovane disegnatrice Coralie Bickford-Smith: tra loro spiccano quelli di Jane Austen, una delle autrici preferite della duchessa di Cambridge.
E proprio Northanger Abbey, pubblicato postumo nel 1818 dopo la morte della Austen, è il libro al quale ci riferiamo.
Perché leggere di cavalli non vuol dire solo limitarsi ai volumi esplicitamente dedicati all’equitazione: ad esempio in queste pagine della Austen è possibile trovare un paio dei più deliziosi e realistici dialoghi su una situazione equestre che sia dato di trovare in quanto stampato da Gutenberg in poi: quelli tra l’eroina del romanzo, Catherine Morland, e lo stolido John Thorpe.
Ve ne offriamo un assaggio da “Northanger Abbey nella edizione di Mondadori a cura di Anna Luisa Zazo (Oscar classici Vol. 364):
“John Thorpe era un giovane robusto di media statura, che, con un viso dei più comuni e una figura sgraziata, sembrava temere di parere troppo bello se non indossava un vestito da staffiere, e troppo gentiluomo se non si conduceva con familiarità quando sarebbe stata necessaria la cortesia e con impudenza quando gli sarebbe stata concessa la familiarità. Ora prese l’orologio: «Quanto tempo credete abbiamo impiegato per venire da Tetbury, signorina Morland?». «Non so quale sia la distanza.» Il fratello le disse che erano ventitré miglia. «Ventitré!» esclamò Thorpe. «Venticinque e forse più!» Morland protestò, citò in suo favore le mappe stradali, i locandieri, le pietre miliari; ma l’amico non diede alcuna importanza a nulla di tutto questo; aveva un sistema di misura ben più sicuro. «So che devono essere venticinque» disse «dal tempo che abbiamo impiegato. Ora è l’una e mezza; abbiamo lasciato il cortile della locanda a Tetbury allo scoccare delle undici; e sfido chiunque in Inghilterra a far andare il mio cavallo, quando è attaccato a una carrozza, a meno di dieci miglia l’ora; dunque sono esattamente venticinque.» «Hai tralasciato un’ora» ribatté Morland. «Erano le dieci quando abbiamo lasciato Tetbury.» «Le dieci! no, erano le undici, credimi! Ho contato tutti i colpi dell’orologio. Vostro fratello vorrebbe convincermi della falsità di quel che ho visto e sentito, signorina Morland; guardate il mio cavallo: avete mai visto un animale nato come lui per essere veloce?» Lo staffiere era appena montato a cassetta e si stava allontanando. «Un autentico purosangue! Tre ore e mezza per sole ventitré miglia! guardate il cavallo e ditemi se vi sembra possibile.» «Oh, sì, ha l’aria molto accaldata.» «Accaldata! non aveva battuto ciglio fino a Walcot Church; ma guardategli il petto, i fianchi; guardate come si muove; quel cavallo non può fare meno di dieci miglia all’ora: legategli le zampe e correrà egualmente. Che cosa pensate del mio calessino, signorina Morland? bello, non è così? Ben molleggiato; costruito in città; non è un mese che è in mio possesso. Era stato costruito per uno di Christchurch, un amico, un’ottima persona; lo ha usato per alcune settimane fino a quando non ha preferito disfarsene. Giusto allora io stavo cercando un veicolo leggero, sebbene fossi piuttosto deciso a scegliere un calesse; ma l’ho incontrato sul Magdalen Bridge mentre andava a Oxford, l’ultimo trimestre. “Ah, Thorpe” mi dice “non volete per caso una cosetta come questa? è splendida nel suo genere, ma io ne sono stanco.” (…)
E anche:
“Non spaventatevi, signorina Morland,” disse Thorpe mentre l’aiutava a salire “se il mio cavallo si rivelerà irrequieto al momento della partenza. Si precipiterà in avanti una o due volte e per un minuto sembrerà sfuggire al controllo; ma non tarderà a riconoscere il padrone. È pieno di coraggio, e di umore scherzoso, ma è un ottimo animale”. A Catherine quel ritratto non parve rassicurante, ma era troppo tardi per rinunciare, e lei era troppo giovane per confessarsi spaventata; dunque, rassegnandosi alla sua sorte e fidando nell’ostentata dichiarazione che il cavallo conosceva il padrone, sedette quietamente e vide Thorpe sederle accanto. Sistemata così ogni cosa, lo staffiere che teneva la briglia del cavallo si sentì ordinare con aria di importanza di “lasciarlo andare” e il cavallo partì con la maggior calma possibile, senza inquietudini, né desiderio di imbizzarrirsi. Catherine, lieta di essere sfuggita a quei pericoli, espresse la sua gioia con felice stupore; e il suo compagno le spiegò con grande chiarezza che la cosa era dovuta esclusivamente alla particolare abilità con la quale lui aveva guidato, al singolare discernimento e alla destrezza con la quale aveva fatto uso della frusta. Catherine, sebbene si stupisse che sapendo dominare tanto perfettamente il cavallo Thorpe avesse giudicato necessario spaventarla con una narrazione dei suoi capricci, si rallegrò sinceramente di essere affidata alle cure di un guidatore esperto; e, vedendo che il cavallo procedeva con la stessa calma, senza dar prova di alcun desiderio di eccessiva vivacità né (tenuto conto che il suo passo era inevitabilmente di dieci miglia all’ora) di allarmante velocità, Catherine si abbandonò al piacere dell’aria e del movimento in una mite giornata di febbraio con la certezza di non correre rischi.”
Sbagliamo forse a dire che anche oggi si incontra qualche John Thorpe, tra un cavallo e l’altro?…
Una buona occasione, questa, per riprendere in mano l’opera completa di Jane Austen: più di 200 anni non bastano per togliere smalto, vivacità e intelligenza ai romanzi scritti da questa riservata signorina inglese vissuta dal 1775 al 1817, che nascondeva sotto una apparentemente usuale formula letteraria una brillante e acuta critica alla società del suo tempo.