Bologna, 13 maggio 2020 – Alla fine del XVI secolo l’Europa faceva da palcoscenico a uno spettacolo che non ammetteva spettatori distratti: era il Barocco, e nessuno poteva evitare di esserne protagonista.
Galileo Galilei avvicinava la luna agli uomini e tutto si guardava con occhi diversi, Federico Grisone aveva scritto il primo trattato di equitazione moderno e anche chi curava i cavalli cominciava ad approfondire la materia in modo nuovo.
Filippo Scacco, venuto a Roma dai possedimenti marsicani dei Colonna dà alle stampe un trattato sulle patologie equine che è come un quadro del Caravaggio, dove cupe scuderie fanno da sfondo a scene dolorose ma illuminate dall’umano tentativo di capire.
“Da molti la medicina delle bestie non è creduta & sarà tenuta disprezzata” dice l’Autore, ma “la scienza di qualunque cosa non è mai vile”e se “La sanità delle bestie fa utilità, e così la morte di esse fa danno”.
Molte patologie erano considerate incurabili, passano sotto gli occhi immagini e descrizioni di cavalli penosamente ridotti da malattie o tentativi di cura ma erano comunque i primi passi verso qualcosa di più organico e approfondito che sarebbe arrivato di lì a poco.
Per assurdo, l’unica prescrizione che possiamo considerare veramente utile è quella riguardante l’influsso dei pianeti, della luna e del Sole sulle varie parti dell’apparato equino.
Lo Scacco consigliava di fare chirurgia soltanto nei giorni protetti dal pianeta di competenza, così nel resto del tempo il cavallo ammalato poteva avere la speranza di evitare “rimedi” che, a guardarli oggi, sembrano più dannosi di quanto avrebbero dovuto curare.
Da notare la dedica al cardinale Filippo Spinola: vi ricorda qualcosa?…
Opera di mescalzia di M. Filippo Scacco da Tagliacozzo, stampato in Roma nel 1591 presso Paolo Blado.