Bologna, 2 settembre 2024 – È un curioso paradosso quello di un paese, l’Italia, che tra Quattro e Cinquecento è stato culla dell’equitazione moderna e della letteratura equestre e che, poi, tra Otto e Novecento, grazie a Federico Caprilli, ha rivoluzionato la tecnica di salto degli ostacoli, nel quale però, la storiografia ufficiale ha sinora sistematicamente ignorato la cultura equestre.
Mentre nel mondo si moltiplicano studi e monografie accademiche sulle tante implicazioni del rapporto dell’uomo con il cavallo, fino a poco tempo fa, pur con alcune luminose eccezioni, gli storici italiani di professione hanno prestato poca attenzione a questa materia, che è invece così ricca di spunti e così significativa, se si pensa a quanto profondamente la nostra civiltà sia stata segnata e plasmata dalla relazione con questi animali. È innanzitutto per questo che la recente pubblicazione del bel libro che Fabrizio Ansani ha dedicato a Il cavallo da guerra e lo Stato del Rinascimento. Una storia politica, economica e culturale (Il Mulino, pp. 504, € 38) deve essere salutata, da tutti i cultori degli studi storici e dagli appassionati di cavalli e d’equitazione, come un vero avvenimento.
Il libro di Ansani ha una notevole importanza per diversi motivi. Il primo è che mostra, con ampiezza di documentazione, come l’economia e la logistica del cavallo da guerra rappresenti una tema cruciale nella formazione degli stati moderni.
Il Quattrocento è, infatti, un’epoca di profonde trasformazioni in campo politico, militare e sociale.
In particolare, l’avvento delle armi da fuoco e la nascita degli stati moderni richiede una progressiva professionalizzazione del mestiere delle armi.
La formazione di eserciti permanenti comporta l’esigenza di garantire la disponibilità di cavalli da guerra per armigeri che non hanno le possibilità finanziarie degli aristocratici cavalieri medievali.
L’acquisto e la logistica dei cavalli da guerra vengono, quindi, demandati “non più al singolo combattente ma ai nuovi apparati statali, responsabili della pianificazione di metodi […] volti al reperimento del maggior numero possibile di destrieri a prezzi quantomeno contenuti” (p. 160).
Una questione di non facile soluzione, come dimostrano i numerosi provvedimenti adottati, per esempio, dal duca di Milano, Galeazzo Maria Sforza, per controllare il commercio dei cavalli nei suoi domini.
Provvedimenti volti a conciliare l’esigenza di incoraggiare l’importazione dei cavalli dai paesi stranieri (soprattutto la Svizzera e la Germania), ma allo stesso tempo di limitarne il libero commercio, perché non finissero anche nelle mani dei suoi nemici.
Altri Stati adottarono politiche differenti. Come, per esempio, il Regno di Napoli, sotto Ferrante d’Aragona, che creò una rete estesa in tutto il meridione d’Italia di allevamenti reali, gestiti da un’articolata burocrazia.
Se, però, questi allevamenti alimentavano tutta l’economia legata alla filiera equina (dai mozzi di stalla, ai maniscalchi e ai cozzoni, che avevano il compito di domare e addestrare i cavalli) e favorivano la fama di eccellenza degli esemplari e dei cavalieri del Regno, il fatto che venissero insediati occupando ampie porzioni di terreni demaniali e di tenute requisite ai baroni ribelli, era causa di notevoli malcontenti non solo fra l’aristocrazia, ma anche negli strati popolari.
Gli Estensi, invece, per garantirsi l’approvvigionamento di finimenti, di pregio, ma anche di attrezzi d’uso comune destinati a scopi militari e civili, adottarono una politica di incentivi, arrivando a finanziare direttamente le botteghe dei migliori artigiani sellai, garantendo loro le condizioni ottimali per operare nel territorio del Ducato di Ferrara.
Il secondo motivo d’importanza del libro di Ansani è che mostra con grande chiarezza anche l’importante valore simbolico attribuito al cavallo, nella società di antico regime, e il prestigio che comportava possedere una scuderia ben fornita di esemplari di pregio.
L’esempio più chiaro lo fornisce il caso di Francesco II Gonzaga, marchese di Mantova, che inviò i propri messi, i cosiddetti “cavalcatori”, ai quattro angoli del Mediterraneo per garantire alla “raza della casa”, quell’eccellenza che verrà poi celebrata nella famosa Sala dei Cavalli di Palazzo Tè, per volere di suo figlio Federico.
Da Costantinopoli a Siviglia, dal Sacro Romano Impero alle coste d’Algeria, dal Regno di Napoli al Vicereame di Sicilia, non c’era luogo dove i suoi emissari, non si spinsero per procurare cavalli “che siano de excellentia como merita la excellentia vostra”.
Ansani ricostruisce i loro viaggi avventurosi studiando la ricca corrispondenza che questi cavalcatori, a metà tra mercanti di cavalli e veri e propri ambasciatori, intrattenevano con il loro signore per tenerlo al corrente dei progressi delle loro ricerche.
La piccola signoria lombarda traeva grande prestigio e considerazione presso le altre corti europee dalla specificità di ospitare nelle scuderie del marchese alcuni degli esemplari più belli ed esotici: come i celebri barberi, provenienti dal nord Africa, che primeggiavano nei palii di tutt’Italia, o gli ancor più esotici cavalli turchi, concessi ai cavalcatori mantovani su licenza diretta del sultano.
Questi animali eccezionali venivano spesso inviati in dono ai potenti e minacciosi sovrani d’Europa, favorendo rapporti diplomatici e amicizie molto utili a garantire alleanze e incarichi, che consentivano al marchese di conservare i propri domini.
Infine, il libro di Ansani è importantissimo perché, grazie a un’imponente ricerca sui documenti, mostra l’enorme messe di materiali inediti e interessantissimi presenti nei nostri archivi.
Documenti che se studiati e portati alla luce, come ha meritoriamente fatto Fabrizio Ansani per le corti quattrocentesche, illuminano la cultura equestre italiana di una luce completamente nuova e ci permettono di capire con maggiore esattezza le dinamiche sociali, economiche e tecniche legate al mondo del cavallo.
Si tratta, insomma, di un libro che offre un enorme quantità di spunti per ulteriori ricerche e approfondimenti ed è destinato a un ruolo di riferimento per tutti coloro che si interessano alla cultura cavalleresca rinascimentale e alle dinamiche sociali ed economiche legate all’evoluzione delle tecniche militari e alla formazione degli stati moderni.
Resta da sperare che ricerche di questo tipo non siano solo sostenute da istituzioni straniere, come nel caso di quella di Ansani, che è British Academy Newton International Fellow nella prestigiosa Università di Exeter, in Inghilterra, ma che, finalmente, anche le università italiane si rendano conto dell’importanza di studiare la (nostra) cultura equestre, incoraggiando studiosi giovani e brillanti come l’autore di questo magnifico libro.