Bologna, 2 dicembre 2022 – La tradizione dell’allevamento dei Lipizzani è stata iscritta nella Lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’umanità dell’UNESCO.
Il riconoscimento della “tradizione dell’allevamento del Cavallo Lipizzano” è frutto di una candidatura transnazionale con capofila la Slovenia e comprendente, oltre all’Italia, Austria, Bosnia, Croazia, Ungheria, Romania e Slovacchia.
L’agenzia Onu per l’Educazione, la Scienza e la Cultura ha formalizzato l’iscrizione nel 17° Comitato Intergovernativo di Rabat, in Marocco, alla presenza di delegati provenienti da 180 Stati. La candidatura era stata presentata il 23 marzo 2020 dal rappresentante italiano permanente presso l’Unesco – Pier Luigi Petrillo – assieme agli ambasciatori degli altri Paesi interessati dalla realtà di questi straordinari cavalli.
I Lipizzani in Italia
Il riconoscimento Unesco ha suscitato nel nostro paese più di un moto di orgoglio. Del cavallo lipizzano di fatto gli organi allevatoriali istituzionale si stanno già occupando da tempo.
Il primo decreto di riconoscimento ministeriale del Libro genealogico del Cavallo di razza Lipizzana risale al 31 gennaio 1984, successivamente modificato nel 1996, nel 2004 e nel 2021.
Nel 2020, l’iscrizione al “Registro Nazionale dei Paesaggi Rurali, delle Pratiche Agricole e delle Conoscenze tradizionali” ha consentito all’Italia di chiedere, assieme ad altri sette Paesi europei, l’ingresso delle “Tradizioni dell’allevamento statale del cavallo Lipizzano” nella lista rappresentativa del patrimonio dell’umanità dell’Unesco. Tema sul quale il Crea aveva già da tempo avviato un dibattito con gli allevamenti statali degli altri Paesi interessati.
«Il Crea ha fortemente appoggiato questa candidatura, – afferma il presidente Carlo Gaudio – dal momento che, nel nostro centro di Zootecnia e Acquacoltura di Montelibretti (RM), gestiamo l’Allevamento Statale del Cavallo Lipizzano (ASCAL) garantendo il mantenimento, l’addestramento degli esemplari e la promozione della razza».
Anche il ministro dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida è intervenuto sul tema con parole di eleogio: «Siamo particolarmente soddisfatti e orgogliosi perché la candidatura era stata promossa, per l’Italia, dal mio Ministero con il supporto del Crea presso cui è attivo un centro di allevamento e riproduzione dei cavalli lipizzani».
«Il riconoscimento dell’Unesco – ha aggiunto Lollobrigida – premia un lavoro importante svolto in questi anni dagli uffici ministeriali e dagli esperti del Crea. Un riconoscimento che va agli sforzi compiuti per mantenere viva una tradizione ancestrale, che basa le proprie radici sul rapporto virtuoso tra uomo e animale. Ringrazio l’Unesco per avere voluto, con questa iscrizione, dimostrare ancora una volta come anche le pratiche connesse all’allevamento possano essere considerate patrimonio culturale dell’umanità».
Sono 403 i cavalli lipizzani iscritti in Italia al Libro genealogico tenuto da Anareai, aderente a FedAna. E anche la Coldiretti ha espresso parole di apprezzamento per il riconoscimento Unesco «L’allevamento del cavallo Lipizzano rappresenta un complesso patrimonio di conoscenze e pratiche tramandatesi nel corso dei secoli nelle aree politicamente e geograficamente assoggettate all’influenza asburgica».
Icona di orgoglio e tradizione
La storia del Lipizzano è connessa strettamente a quella mitteleuropea. Popolazioni e storie diverse, talora divergenti, hanno trovato nel suo allevamento e nella sua cura un punto di incontro e di comunanza.
Nel 1580 il Granduca Carlo II d’Asburgo, figlio del Re d’Austria e di Spagna Ferdinando I, decise di sviluppare un allevamento di cavalli per gli usi della corte. A tal fine individuò la tenuta di Lipizza, che oggi si trova in Slovenia in prossimità del confine italiano, prendendo in affitto i terreni dal Vescovo di Trieste.
Il primo statuto ufficiale del centro di allevamento dei Lipizzani risale al 1658, nell’epoca in cui i cavalli di Lipizza iniziarono ad affrancarsi più marcatamente dall’ascendenza spagnola. Il processo divenne ancora più intenso quando, con la morte di Carlo II il 1° novembre 1700, si estinse la dinastia degli Asburgo di Spagna.
I caratteri della razza così come la conosciamo oggi si imposero nella seconda metà del ‘700. L’anno dopo la fine del primo conflitto mondiale, il 17 luglio 1919, l’Austria consegnò al Regno d’Italia la copia viennese dei Libri genealogici e 109 cavalli Lipizzani nell’ambito dei risarcimenti di guerra che gli sconfitti dovettero pagare.
Dopo l’8 settembre del 1943, quando la Germania invase il litorale adriatico italiano, i tedeschi trasferirono tutti i cavalli da Lipizza a Hostau, a poca distanza da Praga. Solo la metà di essi tornò in Italia il 18 novembre del 1947, in seguito al recupero rocambolesco a opera del generale americano Patton. I lipizzani furono portati prima a Pinerolo e poi a Montelibretti, nell’allora Centro di rifornimento quadrupedi del Lazio. Cessati gli usi militari del cavallo, il 15 febbraio 1955 il nucleo dei cavalli Lipizzani passò al Ministero dell’Agricoltura, che lo affidò al proprio Istituto di ricerca in zootecnia, l’odierno Crea, che custodisce e cura ancora oggi l’allevamento di questa prestigiosa razza equina di ‘sangue blu’.