Bologna, 6 febbraio 2025 – Una premessa doverosa: l’ultimo libro di Mario Desiati non l’abbiamo ancora letto.
Ma un amico allevatore pugliese ce ne ha parlato perché in Malbianco (edito da Einaudi) l’autore di ‘Spatriati’, vincitore del Premio Strega 2022 ha parlato anche degli asini di Martina Franca.
Due asini veramente esistiti, che sono stati stalloni capostipiti per la razza: come Bello.
L’entusiasmo del dottor Luca Pastore per questa scelta è palpabile.
Con tutto l’orgoglio di chi appartiene a una famiglia che questi asini li alleva e custodisce da generazioni: “E’ una cosa che dà i brividi, sono davvero lieto che Desiati abbia onorato il nostro Martina Franca”.
Inutile dirvi chi siano i buoni bai oscurissimi del nostro titolo, vero?…
Luca Pastore è il proprietario della antica Masseria Chiancone, giudice esperto dell’Associazione Italiana Allevatori, cultore e storico del Murgese e dell’asino di Martina Franca.
La sua famiglia è protagonista nella selezione di questi asini e dei cavalli delle Murge sin da prima che queste razze fossero identificate col nome che usiamo oggi.
Era il 1925 quando accadde, e la spinta ad occuparsi al meglio di quelle due perle allevatoriali del territorio venne dall’importanza che avevano assunto i muli nella seconda guerra mondiale.
E la combinazione cavalla delle Murge x stallone di Martina Franca era quella ideale per ottenere gli ibridi forti, alti, resistenti così necessari specialmente ai reparti alpini.
In attesa di leggere il libro in prima persona, ci togliamo un po’ di curiosità con la presentazione che ne fa Einaudi: promette bene.
“Marco Petrovici ha quarant’anni e vive a Berlino, quando all’improvviso, un giorno, inizia a svenire. Per scoprire l’origine di questi suoi disturbi e ritrovare un po’ di pace, decide di tornare in Puglia, dai genitori ormai anziani che vivono immersi in un bosco di querce e lecci nella campagna tarantina. Schiacciato dai sensi di colpa per non essere il figlio che Use e Tonia speravano, si ferma nella casa di famiglia per occuparsi di loro, ma allo stesso tempo si convince che le cause del suo malessere vadano cercate nella memoria sepolta di quel loro cognome cosí strano. A partire da un ricordo d’infanzia dai contorni fumosi – un balordo un po’ troppo famigliare che suona il violino sotto la neve di Taranto -, con l’aiuto di zia Ada, della letteratura e della storiografia, della psicoterapia e di un diario ritrovato non per caso, Marco cura il «malbianco» che opprime la sua famiglia. Facendosi largo tra reticenza e continue omissioni, scopre la vita segreta della bisnonna Addolorata, trovatella e asinaia, e ricostruisce le vicende di nonno Demetrio e di suo fratello Vladimiro, entrambi reduci di guerra, una guerra combattuta e patita in modi molto diversi. Chi sono davvero i Petrovici? Da dove arrivano? E cosa c’entra con loro un’antica ninna nanna yiddish che inconsapevolmente si tramandano da quasi cent’anni? Questa è la parabola di chi rivolge lo sguardo dietro di sé, alle proprie origini piú profonde, per vivere il presente e immaginare un futuro libero da quel malbianco che nasconde la vera essenza delle persone. Raccontando la frenesia e i turbamenti di un protagonista consumato dalla storia che si porta addosso, Mario Desiati ci consegna il suo romanzo piú lirico, inquieto, ambizioso e maturo”.
“I segreti e i silenzi avvolgono i protagonisti di questa storia come il malbianco infesta il tronco degli alberi. Tra i Petrovici, infatti, ci sono da sempre piú fili nascosti che verità condivise. Ma le domande del figlio che si è smarrito, e per questo si volta a guardare le proprie orme, diradano via via le nebbie di una memoria famigliare lacunosa e riluttante. Se «di certi fantasmi ci si libera soltanto raccontandoli», prima di tutto bisogna conoscere il passato da cui proveniamo. Dai boschi di Taranto al gelo dei campi di prigionia tedeschi, Mario Desiati torna con un grande romanzo che indaga il rapporto tra l’individuo e le sue radici, il trauma e la vergogna, interrogando con coraggio il rimosso collettivo del nostro Paese”.