Bologna, 13 maggio 2024 – La storia dell’equitazione porta spesso in ambienti del tutto esclusivi. Il lavoro del cavallo montato ai livelli di tecnica più raffinata era necessario alle sfere sociali più elevate. Logico che anche la maggior parte dei grandi cavallerizzi fosse di nobili natali o si muovesse comunque con disinvoltura nell’ambito di corte.
Una ambientazione grandiosa come quella del Louvre pare accordarsi bene alla nostra tesi: architetture imponenti, bagliori d’oro che si inseguono ovunque e una ricchezza espositiva che lascia ad occhi spalancati.
Eppure anche dentro la grandeur del Louvre possiamo trovare quel filo, quasi invisibile ma solidissimo, che lega il cavallo da alta scuola a quello destinato all’uso più semplice e quotidiano.
Che per quanto siano diversi i loro compiti sono sempre creature della stessa razza, con gli stessi meccanismi mentali e fisici e la stessa sensibilità.
E questo filo non lega solo i cavalli ma anche i loro cugini dalle lunghe orecchie. Proprio nella Sala del Maneggio del Louvre troviamo qualcosa che ci ricorda quanto sia apparente la distanza tra loro.
E’ merito della decorazione delle colonne che sostengono il soffitto del maneggio: su ognuna fanno bella mostra di sé panoplie di trofei di caccia, teste di destrieri armate o sbuffanti di ardore contenuto.
Ma la prima a destra entrando nella sala è dedicata ad asini e muli.
Con i loro bei finimenti da lavoro e i paraocchi, sono riconosciuti parte integrante della grande famiglia equina.
E come per sottolineare il concetto, in una delle gallerie del Louvre dedicate ai dipinti francesi dell’800 spicca un ritratto di Napoleone che non viene mai riprodotto sui libri di scuola: è Bonaparte valica le Alpi di Hippolyte Delaroche.
Ma non sullo stallone spagnoleggiante pezzato di David, no, e nemmeno sul suo carissimo Vizir.
Questo Napoleone sul passo del Gran San Bernardo è in sella a una mula. Che, a testa bassa e con il suo bravo pettorale in stile montanaro, porta pazientemente un Grande Corso (un po’ disilluso) verso la prossima battaglia.
Il quadro è stato dipinto nel 1850, quasi trent’anni dopo la morte dell’Imperatore.