Bologna, 24 novembre 2023 – Spesso ci sono diversi modi, opposti e contrastanti, di valutare un problema. Tutti meritevoli di comprensione e ascolto. Tutti con motivazioni. Prendiamo il caso dei cavalli selvaggi negli States, i wild americani. Caso per altro molto simile a quello dei brumbies in Australia.
Tra chi sostiene che ‘consumino’ il territorio sottraendolo alle mandrie o alle culture e chi invece ritiene che vadano tutelati senza forse e senza ma sicuramente ci sono posizioni intermedie funzionali al benessere reale dei cavalli.
Posizioni tuttavia che – ci si consenta l’accenno un po’ polemico – magari non creano i consensi che servono abitualmente ai sistemi della politica.
E così, a fronte di scelte che comunque per una parte di audience possono risultare impopolari, quale migliore soluzione se non posticipare qualsiasi decisione?
Il tema, nello specifico, sono i cavalli selvaggi del Nord Dakota. Duecento esemplari che pascolano nel Theodore Roosevelt National Park. Tra chi vuole limitarne il numero, chi vuole che siano eliminati e chi li difende a spada tratta, la governance dello Stato ha scelto di rimandare qualsiasi decisione all’anno prossimo, a data da stabilirsi.
Eppure, qualsiasi uomo o donna di cavalli sa benissimo che la natura fa comunque il proprio corso e dei tempi decisionali umani se ne infischia. Allungare i tempi di una qualsiasi decisione potrebbe significare trovarsi a fare i conti con un ‘problema’ numericamente assai più consistente, quale che sia la via scelta.
Da risorsa a problema
La storia dei wild del Theodore Roosevelt National Park nasce da una specie di ‘errore’ umano. Quando ne furono sanciti i perimetri, nel senso fisico della delimitazione con i recinti, un piccolo nucleo di cavalli selvaggi vi ci si ritrovarono confinati. Dopo diversi infruttuosi tentativi di eradicarli, si pensò che potessero rimanere lì, come testimonianza storica a ‘uso’ turistico. Stiamo parlando del 1980 circa…
Oggi però quel pugno di cavalli selvaggi sono diventati 200 e la loro presenza non sembra più così ‘folcloristica’.
Per gli avvocati che li difendono, i wild del Theodore Roosevelt National Park dovrebbero essere almeno 150 per rappresentare un gruppo geneticamente stabile.
Ovvero a oggi, già cinquanta in meno di quelli presenti. Che tra selezione, riallocamenti e altre soluzioni sarebbero ancora gestibili.
Chissà a questo punto quanti saranno invece, da qui a un anno, gli ‘eccedenti’…