Perugia, 25 giugno 2020 – Tra i tanti vantaggi di vivere in un paese che non ha più di 8.000 abitanti c’è quello di conoscere, almeno di vista, quasi tutti – cavalli compresi
Così quando ieri mattina salivo per via Vannucci a Città della Pieve per fare spese e rifornire la dispensa, ho incrociato David Petri alle prese con il restauro di un portone in legno.
Ho abbassato la mascherina per farmi riconoscere, saluti e una battuta al volo, che David è un colto amante della arti ma sa usare le mani per dare vita alle cose che hanno una storia: “Proprio come gli artisti del Rinascimento David, che erano anche artigiani!…”.
Da lì a parlare di Leonardo da Vinci ci è voluto un attimo, e la cosa bella di Petri è che rende così facile e piacevole tirare fuori impressioni anche personali su temi che magari non così spesso si toccano tra un fornaio e il fruttivendolo.
E come immaginerete passare da Leonardo ai cavalli è stato facilissimo: ma avevo promesso a David di raccontargli una cosa poco conosciuta riguardo al genio vinciano, e quindi assolvo il mio debito qui di seguito.
Tra tutti gli attributi positivi associati a Leonardo da Vinci, ce n’è uno negativo che lo accompagna da sempre: l’essere stato lentissimo nell’esecuzione dei suoi lavori, e di averne lasciati incompiuti molti.
Una di quelle etichette che ti vengono appiccicate, e per togliertele di dosso serve l’aiuto dell’analista.
Non a caso Sigmund Freud si è interessato a Leonardo, tanto da scrivere un saggio su di lui e il suo parere in tal senso è significativo.
Tanto per cominciare, comparazione oggettiva con altri casi simili: anche il laboriosissimo ed infaticabile Michelangelo lasciò parecchi incompiuti, e lo stesso maestro di Leonardo, il Verrocchio, lasciò non finita la statua di Bartolomeo Colleoni.
E’ che Leonardo aveva una marea di interessi che richiedevano la sua speculazione rispetto ad altri artisti “puri”, e la sua personale inclinazione ad approfondire ogni argomento per cui provava interesse faceva il resto.
“Nessuna cosa si può amare né odiare, se non si ha cognition di quella“: è l’espressione di Leonardo che più illumina la sua essenza e ci guida nella comprensione della sua anima, se la uniamo ad una osservazione di Freud.
Secondo lo psicanalista austriaco infatti, da Vinci aveva sublimato le sue pulsioni sessuali in sete di sapere.
Ma la sete di sapere in un talento della natura come il genio toscano poteva creare un vero e proprio corto circuito che si è palesato in un perfezionismo paralizzante, e lo ha portato sin quasi a smettere di dipingere in un periodo della sua vita.
Di qui la sua costante lentezza di esecuzione e il “fine lavori, mai” di tanti altri progetti, fosse stato più superficiale avrebbe sicuramente prodotto di più, è chiaro: ma forse noi avremmo molto meno, di lui, da ammirare.
Un ponte tra passato e futuro
Leonardo viveva di approfondimenti.
Studiava i sarcofagi romani e le opere antiche come il Regisole (una statua equestre di Pavia, distrutta nel 1796) o i cavalli di San Marco di pari passo con i cavalli veri lasciando una marea di disegni.
Che rappresentano oggi, ai nostri occhi, un vero e proprio ponte tra l’antichità classica e i nostri giorni.
Un altro ponte lanciato da Leonardo, come quello che aveva studiato su commissione del sultano Bayazid II e che avrebbe scavalcato il Corno d’Oro di Istanbul.
Di questo progetto lasciò soltanto uno schizzo, realizzato in scala e testato dal Mit di Boston.
Il giudizio finale? Avrebbe retto, anche costruito con le tecniche del suo tempo.
A proposito del disegno dal vero di Leonardo che ha per soggetto il Regisole di Pavia: è un documento minimo come dimensioni ma molto importante dal punto di vista storico.
“L’imitazione delle cose antiche è più laudabile che quella delle moderne…il trotto è quasi di qualità di cavallo libero”, scrisse in una nota a questo disegno lo stesso Leonardo.
Qui i link ai tutti i documenti di Leonardo da Vinci sfogliabili in rete