Torino, 5 febbraio 2020 – A Chieri c’è un palazzo che venne ristrutturato a fondo dai proprietari nella seconda metà del ‘400: si tratta di casa Bertone, che ancora oggi conserva uno splendido soffitto dipinto con figure grottesche o allegoriche estremamente vivaci.
Tra i tanti particolari, rimessi in luce recentemente da una accurata pulitura, c’è questo animale fantastico che sembra a metà tra cavallo e uomo: la cosa buffa è che gli arti dell’equino sono antropomorfi, e difatti la creatura sembra guardarsi un po’ stupita le mani.
Cosa ci ha colpiti di questa figura? beh, prima di tutto che l’artista si sia evidentemente divertito a raffigurare in modo letterale il sinonimo con cui allora si indicavano gli anteriori dei cavalli, che nei testi dell’epoca sono appunto indicati come “mani” (e piedi i posteriori).
Poi che le orecchie del semi-cavallo sembrino un po’ più corte del dovuto, e ci siamo ricordati di un termine desueto che indicava giusto in quei secoli i cavalli cui erano stati tagliati i padiglioni auricolari: indovinate quale?
Bertone, curiosamente: che è per l’appunto il nome della famiglia che possedeva il palazzo.
L’usanza crudele di tagliare le orecchie, praticata almeno sino al XVII secolo, aveva solamente scopi estetici, non c’era nemmeno la pallida scusante di una qualche supposta utilità pratica o conseguenza positiva: in alcuni testi antichi viene ricordata come maniera di far sembrare i cavalli così conciati come provenienti dalla Francia ma era frequente anche per i cavalli tedeschi (e ci viene in mente il taglio della coda, o inglesatura, di fine ‘800 e inizio ‘900) , in altri come modo per ovviare alle orecchie tenute cascanti.
Addirittura abbiamo trovato un libro dove si suggeriva la finta bertonatura, che consisteva nel cucire le orecchie del malcapitato cavallo su se stesse per farle sembrare tagliate, e chi ha scritto il testo si raccomanda di usare un filo di colore intonato al mantello della vittima.
La misura giusta per questo scempio? come un’orecchio d’orso, all’incirca, e si vede che era una informazione comune e condivisa.
Altrove si raccomanda di prestare attenzione dopo questa nefanda operazione a togliere e mettere la testiera, che il poveretto sarebbe stato sensibile ad ogni contatto, bontà sua, come pure di utilizzare un collare per tenerlo alla posta in scuderia invece della usuale capezza.
Ma comunque anche i cavalli più pregiati correvano il rischio di subire questa menomazione: come quello raffigurato in una stampa antica recentemente andata all’asta e che apparteneva a Jaqueline Kennedy Onassis, ora acquistata dalla Galleria degli Uffizi.
Che volete fare: oggi la curiosità ci ha fatto galoppare un po’ di qua e di là, come puledri appena liberati nel paddock in una giornata di vento teso e fresco.