Bologna, 26 ottobre 2024 – È curioso che non abbiano scelto una colomba che può volare. O un gatto che ti fa le fusa sulle ginocchia. O ancora un cane, leale e fedele… No, al Laboratorio P, l’ex reparto P, scelsero un cavallo.
Uno vero. Che, con una magia, poteva contenere nella capiente pancia tutti i sogni. I desideri. Le speranze.
È così che Marco alla fine degli Anni 50 smise ti tirare il carretto della biancheria, si vestì di blu – proprio come il colore dell’autismo ma anche della gioia di vivere – e uscì per strada. Dove diventò per tutti Marco Cavallo.
La storia che vi stiamo raccontando è una perla della nostra società civile e, un po’ per caso e un po’ no, al centro ha un cavallo. Un baio vero che diventa un cavallo in legno e cartapesta alto quattro metri. Un cavallo blu.
Una storia in bianco e nero che si anima con i colori
L’intera vicenda inizia negli Anni 50 al San Giovanni di Trieste. Un manicomio. Ai tempi quei posti lì non si chiamavano ancora con il termine più ‘gentile’ di ospedali psichiatrici…
Per portare la biancheria dai reparti alla lavanderia, faceva servizio Marco, un baio robusto che tirava il carretto. Era il beniamino dei pazienti che gli avevano dato il nome. E quando nel 1959 si decise che era troppo vecchio per continuare a fare il suo lavoro, furono proprio loro, insieme a medici e operatori, a darsi da fare. Si unirono, si organizzarono, protestarono, scrissero una petizione… Si offrirono di pagare una somma pari a quella che sarebbe stata pagata per lui al macello e lo riscattarono. L’idea del ‘non più utile’ venne sconfitta da… un pugno di pazzi. E il cavallo finì i suoi giorni tranquillo nelle campagne friulane.
Qualche anno più tardi, nel 1971, il mondo era radicalmente cambiato fuori dalle mura del San Giovanni. E anche dentro. Nella struttura era arrivato un nuovo direttore, tale Franco Basaglia che già era stato direttore a Gorizia. E il disagio psichico stava assumendo un nuovo significato sociale.
L’ex Padiglione P era stato trasformato in un laboratorio creativo permanente, dove i pazienti potevano esprimersi con mezzi nuovi. Con l’arte. E il disegno di un cavallo blu che voleva rappresentare il baio Marco, iniziò a uscire dal foglio grazie al drammaturgo Giuliano Scabia e l’artista Vittorio Basaglia, cugino dell’altro Basaglia della nostra storia. Con l’aiuto delle mani dei pazienti Marco Cavallo iniziò a crescere. Fino a quattro metri. E nel suo ventre vennero idealmente raccolti tutti i sogni e le speranze di chi l’aveva costruito. Ufficialmente (ri)nacque nel 1973 e da allora ha sempre fatto molto bene il suo nuovo lavoro.
Esempio iconico del riconoscimento dei diritti dell’uomo (e degli animali), Marco Cavallo è rimasto il simbolo di una riforma che porta il nome proprio di Basaglia (legge 180 del 13 maggio 1978). Un cavallo che è riuscito a portare nel mondo un’umanità fino ad allora nascosta.