Bologna, 28 dicembre 2020 – Faccio come gli scoiattoli con le ghiande, nei momenti di super-lavoro accumulo tutto quello che non riesco a leggere e lo accantono per le giornate tranquille.
Oggi era una di queste, e tra gli appunti di un vecchio bloc-notes è saltata fuori una storia di cavalli barbari, rinoceronti e imprese.
Le note riguardavano il “Ragionamento de Mons. Paolo Giovio sopra i motti, et desegni d’arme, et d’amore, che communemente chiamano imprese”.
Questo libro fu stampato a Venezia nel 1561, appresso Giordano Ziletti all’Insegna della Stella.
Lo so che potrà sembrare incomprensibile a molti, ma io mi son lasciata prendere dalla loquacità di Monsignor Giovio che era un chiacchierone generoso e accattivante.
Anche un po’ tronfio dei suoi successi a dire la verità, che non perde un’occasione per far sapere il successo che incontrano le sue trovate araldiche.
Ma una di queste per noi equitanti è curiosa, ve la voglio raccontare.
Il Duca Alessandro dei Medici, fresco sposo della giovanissima Margherita d’Austria, vuole guadagnarsi la stima del suocero imperatore e del resto del mondo con imprese guerresche e coraggio da dimostrare sul campo.
Chiede quindi a Monsignor Giovio di trovargli un’impresa che illustrasse i suoi sentimenti, che “per la fazione imperiale sarebbe animosamente entrato in ogni difficile impresa, deliberando di vincere – o di morire”.
Giovio prende lo spunto da un famoso fatto di cronaca dei tempi per accontentare la richiesta del Duca: il naufragio del vascello che portava a Papa Leone X un regalo del re Manuel di Portogallo, un rarissimo esemplare di rinoceronte indiano.
Fondamentali per la scelta le virtù attribuite a questo esotico animale coraggioso e temerario e ad oltranza, l’unico a poter sperare di battere un elefante nello scontro diretto.
E forse anche dall’origine altrettanto esotica del Duca, figlio naturale di Lorenzo II de’ Medici e di una serva mulatta.
“Fecesi dunque la forma del detto rinoceronte in bellissimi ricami, che servivano ancor di coperta per cavalli barbari, i quali corrono a Roma e altrove il premio del Palio, con un motto di sopra in lingua spagnola, Non vuelvo sin vincer: io non ritorno indietro senza vittoria”.
Sbaglio di tanto, a immaginare che un ricordo di questi cavalli barbari di Roma sia forse rimasto a Siena, nella Contrada della Selva?
Tenete presente nel ‘500 i cavalli barbari giravano per mezza Italia a disputarsi i vari Palii, difendendo colori e imprese dei loro proprietari che spesso erano principi e potenti.
Anche la definizione dei cavalli è cambiata di poco: oggi a Siena li chiamano barberi, l’etimologia di entrambe le definizioni richiama limpidamente i cavalli Berberi.