Oristano, 29 gennaio 2020 – La Sardegna è terra di cavalli e cavalieri: da millenni sull’Isola il connubio tra i due elementi di questo binomio è così stretto, continuo e radicato da continuare anche oggi ad essere una parte fondamentale del carattere e delle tradizioni sarde.
E tra cavallo e cavaliere c’è qualcosa che li unisce, assecondando l’uno e l’altro nell’esercizio comune; la sella, ovviamente.
Che in Sardegna prende diverse forme, di cui alcune rigorosamente autoctone e caratteristiche del patrimonio culturale locale: come il basto sardo, o seddazzu.
Siamo rimasti affascinati dalla bellezza di uno di questi piccoli capolavori di artigianato e ce lo siamo fatto raccontare da Gianfranco Spanu, terza generazione di una famiglia di mastri sellai di Santu Lussurgiu, in provincia di Oristano.
Signor Spanu, da dove nasce questa sella?
“E’ nata per il lavoro in campagna, ma a differenza dei basti puri il seddazzu, o basto sardo, permette al cavaliere non solo di trasportare fieno, latte e altre merci ma anche di montare il cavallo“.
Come è possibile ottenere questo duplice utilizzo?
“Volendolo usare come basto si utilizzano i fori che porta sul legno della paletta e dell’arcione, che è a vista, per passare funi e lacci e fissare il carico; ma per il resto è formata esattamente come una vera sella, senza quartieri e con una ricopertura in cuoio molto essenziale che permette al cavaliere un contatto molto stretto e preciso con il suo cavallo”.
Quanto è cambiato il modello che voi realizzate oggi rispetto a quelli più antichi?
“É fondamentalmente uguale, abbiamo solamente cercato di renderla un po’ più comoda per il cavaliere rivestendo il seggio con un cuoio molto spesso e possiamo spostare un po’ verso le cinghie l’aggancio per lo staffile, permettendo così un assetto più corretto, attuale, visto che con le selle antiche si tendeva ad avere la gamba un po’ troppo in avanti. Poi a volte mettiamo i riscontri per il sottopancia, se il cliente ce li richiede al posto del tradizionale fascione: questo rende la sella più confortevole per il cavaliere che magari non è abituato alla versione originale“.
Caratteristica più spiccata?
“Essendo senza quartieri si sente molto il contatto con il cavallo, ed è bella anche per questo. E’ un particolare importante, perché la monta sarda è fatta per il lavoro in campagna e quindi si usano molto le gambe per guidare il cavallo perché la mano sinistra tiene la briglia e la destra su foette, il bastone con una stringa di cuoio che serve per guidare pecore e vacche, o aprire e chiudere cancelli“.
Con quali materiali è costruito il seddazzu?
“Il legno che utilizziamo è per lo più l’olivo selvatico, ma anche quercia, quercia da sughero e leccio per l’arcione anteriore e posteriore. Le traverse che uniscono i due arcioni invece sono in castagno, perché è più flessibile: di arcioni ne facciamo di differenti misure perché si adattino ai diversi cavalli, lavoriamo artigianalmente e per la maggior parte su ordinazione per cui praticamente quasi ogni volta facciamo un lavoro su misura. Gli arcioni sono poi ottenuti da legni ricurvi di natura, non sono messi in forma: la fibra del legno così è molto forte, e se per esempio un cavallo si rotola per terra con la sella questa non si rompe. Da noi c’è l’usanza che la gente, quando fa provvista di legna per stufe e camini, se trova i pezzi ricurvi ce li porta e noi li ricompensiamo. Ma a volte andiamo anche noi a cercarne se non ne abbiamo di adatti da parte; prima di utilizzarli li mettiamo a stagionare anche 5 anni, soprattutto l’olivastro che è molto duro e tarda a seccarsi, richiede davvero tanto tempo”.
Per il cavallo il seddazzu è comodo?
“Assolutamente sì, perché è nata proprio per distribuire in modo corretto i pesi: poi viene abbinato un sottosella molto robusto e bene imbottito che ha lo stesso scopo, anche questo realizzato da noi con tessuti tipici sardi, in cotone e lana di pecora e rifiniture in cuoio“.
C’è anche un’altra sella tipica della Sardegna, la Mezza Reale: quale è la sua storia?
“La Mezza Reale, o sella sarda, è praticamente quella che usavano i ricchi di una volta, ha i quartieri e un seggio bene imbottito, nessuna parte in legno a vista. Il nome forse deriva dal fatto che costasse appunto mezzo reale, che era una moneta in corso qui in Sardegna“.
Cosa permette che una sella così antica sia viva e richiesta ancora oggi?
“Il fatto che qui in Sardegna non si è mai interrotta la cultura del cavallo, il viverci insieme: ci sono ancora migliaia di feste ogni anno che vedono il cavallo come protagonista indispensabile, ogni paese ha almeno una sfilata o una processione di cavalieri e amazzoni; per dire, solo qui a Santu Lussurgiu abbiamo s’a Carrela e Nanti a Carnevale, due ardie e una processione“.
Più che una sella il seddazzu è quindi un esercizio di cultura e amore per la propria storia: e forse è anche per questo che è così bella, ai nostri occhi.
Non è solo una questione di sella
Vestire il cavallo con il seddazzu richiede sempre l’uso del sottocoda, e spesso del pettorale. Molto particolare e bella anche la testiera sarda: invece della capezzina con montante dedicato ha una sorta di museruola fissa che entra nel montante dell’imboccatura, generalmente il morso sardo spezzato dall’elegante guardia ricurva. Il risultato è molto leggero ed elegante, veramente adatto ad esaltare la finezza di teste e incollature dei cavalli Anglo-Arabi di Sardegna.
Anche le redini sono speciali, perché nella monta sarda tradizionale la martingala non esiste, quindi le punte delle redini sono unite e hanno un passante che serve per tenere strette le redini tra loro quando il cavaliere deve guidare il cavallo con una mano sola.
Gli staffili, poi, hanno tre fascette che li tengono ben sovrapposti e uniti per tutta la loro lunghezza.
Un altro dettaglio tipico sono i collari con i campanelli: in quasi tutta la Sardegna il modello tipico è largo e con tanti sonagli, mentre a Santu Lussurgiu è sempre stato stretto e con una sola fila di bubboli; forse, ci spiega Gianfranco Spanu, perché qui a Santu Lussurgiu si facevano correre volentieri i cavalli e quindi un collare più sottile era più comodo durante un galoppo scatenato.
Dal 1923 – La Selleria Spanu è stata aperta a Santu Lussurgiu nel 1923 da Giuseppe Luigi Spanu, padre di Giovanni che ne ha continuato l’attività passandola poi ai suoi figli Gianfranco e Giuseppe Spanu: sono loro adesso a portare avanti il lavoro di famiglia e la cultura artigianale che richiede.