Bologna, 17 gennaio 2021 – Man mano che i confini della Frontiera si estendevano e le città crescevano, prima che arrivasse la ferrovia… Là c’erano i cavalli con i Buffalo Soldiers.
Così la storia degli Stati Uniti racconta. Una storia giovane per noi europei, ma che ha sempre esercitato un grande fascino.
Nel 1866, il Congresso statunitense si ritrovò un ‘tesoro’ di 180mila uomini, tutti Afro-Americani, che avevano servito l’esercito tra le schiere del Nord durante la Guerra Civile. Sia in fanteria, sia nei reparti a cavallo.
Una risorsa preziosa, di cui in realtà, i vertici militari non sapevano ancora bene cosa fare. Ovvero quale destinazione e quale ruolo dedicare loro nel mondo post-schiavitù di una nazione tutta da ricostruire.
Così, il Congresso deliberò la nascita di due reparti di cavalleria (e quattro di fanteria) composti proprio da soldati Afro-Americani.
Si trattava, per la precisione, il 9° e 10° Cavalleria, chiamati con il soprannome di Buffalo Soldiers.
Se per i più oggi Buffalo Soldiers è solo una bella canzone di Bob Marley, va specificato che nella storia statunitense questi cavalieri e il modo oculato in cui gestivano i loro cavalli giocarono un ruolo importante.
Durante tutto il periodo di espansione della frontiera nei territori indiani, i Buffalo Soldiers vegliarono attivamente sulla tutela dei confini estremi.
Pare siano stati proprio Cheyenne e Comanche a dare a questi reparti il loro soprannome. Probabilmente a causa dei capelli dei soldati che ricordavano ai nativi il mantello irsuto intorno al capo dei bufali.
Tra i loro più ostici nemici, alcuni dei migliori cavalieri della storia del mondo: Geronimo, Sitting Bull, Victorio, Lone Wolf, Billy the Kid, e Pancho Villa.