Bologna, domenica 7 aprile – Oggi è la giornata mondiale della salute. Oggi, tutti i mezzi di informazione del mondo rimbalzeranno il celebre motto promosso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: “My health, My right”.
Che la salute sia uno dei pilastri dei diritti umani ci sembra ovvio e scontato, ci sembra impensabile che si possa vivere in un Paese dove i diritti umani non siano il fondamento della propria società. Questa è la nostra impressione, ma la Storia, anche piuttosto recente, e la Geografia, anche molto vicina, ci dimostrano che non è così.
Non serve riavvolgere la storia della notte dei tempi di Paesi remoti per osservare come il concetto di diritto umano sia una prerogativa di pochi Paesi. Soprattutto se lo interpretiamo in modo occidentale, basandoci sulla post rivoluzionaria Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
Ci sono posti in cui quello che noi chiamiamo “il diritto umano” è semplicemente l’accessibilità a delle risorse primaria per la vita, come l’acqua, per esempio. Ci sono poi Paesi in cui potremmo dire che ancora tutt’oggi avere un cavallo sia percepito come diritto.
I monti Verkhoyansk nella regione della Yakutia. Qui, la sopravvivenza dell’intera società dei popoli che vivono in questa remota zona asiatica dipende esclusivamente dai cavalli. Quassù gli Yakut, i popoli discendenti da coloro che fuggirono dall’avanzata di Gengis Khan, nel lontano XII-XIII secolo d.C.
La Siberia settentrionale, dove d’inverno le temperature scendono per settimane intere sotto i 50°, fino a toccare il record di -72°. Questa è una delle zone più fredde e remote del pianeta.
Gli Yakut sono arrivati in queste zone remote a cavallo, scappando dalla guerra e dalla morte. Non sapevano dove stavano andando, non potevano sapere che si erano addentrati in una delle zone più fredde e inospitali del Pianeta. Loro cercavano la vita e grazie ai loro cavalli riuscirono a trovarla anche laddove riuscire a sopravvivere è una scommessa contro la natura.
“Per noi i cavalli sono un animale sacro. Loro sono il nostro Dio. Senza cavalli non saremmo vivi”, è con queste parole che un pastore Yakut ci testimonia che anche un cavallo può essere un diritto umano.
Il cavallo come mezzo di trasporto, come compagno di lavoro, come apripista nella neve alta, il cavallo anche come risorsa curativa. Infatti, in un recente studio realizzato dalla FAO (Food and Agriculture Organization of the United Nations), ha riportato alla luce una delle bevande curative tradizionali degli Yakut: il Kumya che viene realizzato proprio con il latte delle fattrici dei cavalli Yakuti e che viene chiamato “il latte della vita”.
“Mungiamo le cavalle tutto l’anno all’aria aperta, anche in caso di forti gelate”, racconta Vera Akimova, allevatrice dei Sakha, chiamati “il popolo dei cavalli” della Yakutia.
Non possiamo non vedere in queste parole l’immagine dei cavalli yakuti appena intravisti nella folta nebbia gelida, tra la neve alta e gli alberi spogli.
Noi che siamo abituati a ben altri climi e, spesso, ad avere i cavalli tosato in inverno con la coperta e al caldo dentro ai box, ci chiediamo come fanno a sopravvivere questi cavalli in queste condizioni atmosferiche?
Come si sa ci si abitua a tutto, ma i cavalli Yakut si sono dimostrati veramente formidabili nel sapersi adattare all’ambiente circostante. Non è bastato infoltire il pelo e aumentare il grasso sottocutaneo. E’ l’unico caso al mondo che ha saputo modificare il proprio patrimonio genetico in appena 100 generazioni.
Per ben otto mesi, questi cavalli riescono ad andare in quello che viene definito “semi-letargo”, riducendo il loro metabolismo ed abbassando la temperatura corporea, riescono ugualmente a svolgere le attività quotidiane, a differenza di tutti gli altri animali che invece si fermano in questi periodi. Viene anche definito il “letargo in piedi”, anche sarebbe più giusto parlare di “sopravvivenza invernale”.
Inoltre, un recente studio, il dott. Ludovic Orlando, ci dimostra che il cavallo Yakut ha una particolare pletora di geni, di cui alcuni sono condivisi sia con i gruppi umani originari della Siberia che, attenzione, con il mammut lanoso, oggi estinto.
Questa è una storia di uomini e cavalli, dove la sopravvivenza di uno determina la sopravvivenza dell’altro. La lotta per la vita che avvicina il patrimonio genetico di due specie così diverse ma così vicine tanto da generare l’una il diritto alla vita dell’altra.
“Non picchiamo né usiamo mai violenza quando addestriamo un cavallo. Deve prendersi il suo tempo. Questo è un animale meraviglioso e sensibile. Se una persona deve picchiare un cavallo per fargli fare ciò che vuole, non è una persona. È un bruto”, queste sono le parole di Vassili, allevatore del villaggio di Nalimsk, Yakutia del nord.