Roma, 9 settembre 2024 – Marco Di Paola è stato riconfermato alla Presidenza della Fise al termine di una campagna elettorale molto intensa e dura, ma va fatta una premessa. Nelle quasi cinquanta Federazioni sportive che si sono avviate al rinnovo delle cariche elettive, tralasciando quelle che hanno subito anche l’onta del commissariamento, difficilmente hanno al loro interno candidature di così alto profilo come quelle che ha potuto proporre la Federazione Sport Equestri. Pur molto diversi tra loro, i tre candidati Duccio Bartalucci, Clara Campese e Marco Di Paola hanno caratteristiche molto importanti: intanto, sono figure apicali che vengono dal campo, ed anzi da una lunga o lunghissima esperienza articolata in più settori e in svariati ruoli, hanno una consolidata frequentazione degli eventi più importanti, una chiara impronta tecnica oppure organizzativa quando non entrambe. E’ un fatto non scontato: la Fise ha evitato l’umiliazione di altri sport, costretti a inalberare candidature prestate da altri settori, la politica in primis, che parlano un linguaggio altro, lontano dalla passione e dalla carica che ha invece sicuramente connotato i tre protagonisti della recente corsa elettorale. In secondo luogo, si tratta di dirigenti che vantano una carriera strutturale all’interno della Fise, tecnica o organizzativa, una cifra di esperienza acquisita dal confronto di anni e anni, una grande possibilità di crescita avendo lavorato assieme ad altre figure di altrettanto alto profilo.
Ed è proprio alla luce di questo che la campagna elettorale appena conclusa avrebbe potuto garantire un confronto di altissimo livello, giovandosi nei programmi, nelle idee, nelle relazioni di alto profilo, nei progetti concreti e nelle pianificazioni tecniche, economiche e territoriali, dell’unico valore aggiunto che l’economia non deprezzi mai, quello dell’idea e della conoscenza.
A nostro parere questa premessa è andata in gran parte delusa. Ogni candidato in campagna elettorale, in qualsiasi tipo di voto politico o non, in genere sceglie la strategia che ritiene più vincente, ma in generale due sono le possibilità: puntare sulle proprie idee, sui propri programmi e sulle proprie intuizioni e sensibilità, facendo una corsa del tutto autonoma e indipendente rispetto ai concorrenti, puntando sulla forza ed il valore delle proprie pianificazioni, sulla lungimiranza dei progetti, sulla brillantezza e sull’effetto sorpresa delle proprie suggestioni. Banalmente, quando un candidato riesce a sorprendere con una grande intuizione, un’idea geniale, una riorganizzazione semplice ma di forte impatto, conquista la scena e spazza il campo spesso in modo vincente. Bartalucci e Campese avevano questo background per farlo. L’alternativa a questa impostazione è fare una campagna elettorale antagonista, puntando sui fattori ritenuti critici o deboli della concorrenza e costruendoci sopra la propria strategia di attacco. Se dimostro, in buona sostanza, che il mio rivale è debole, o che ha sbagliato o che in generale ha deluso, per la legge fisica della azione-reazione guadagno punti agli occhi del mio elettorato. Mors tua, vita mea.
Perché un candidato sceglie una strategia o l’altra? In genere dipende molto dalla storia personale. Candidati nuovi, figure emergenti, outsider e underdog non hanno quasi relazioni con gli avversari, hanno una forza propulsiva autonoma dal confronto, non hanno un passato che condizioni i rapporti. E puntano tutto su se stessi, sulla propria immagine e proposta. Chi invece viene da storie professionali importanti, da rapporti passati intensi, da situazioni consolidate o corrose nel tempo, da relazioni strutturali cambiate negli anni, da situazioni articolate, spesso ha la tentazione naturale di confondere campagna elettorale ed emozioni personali, interesse generale e passato personale, la grande storia e la piccola storia. E’ una scelta a volte nemmeno voluta, ma troppi fattori accumulatisi nell’esperienza indirizzano spesso verso questa impostazione, più immediata, istintiva, quasi irrinunciabile. E così il candidato perde un’occasione. Crediamo che quest’occasione si sia persa. Anche nelle istanze giuste, nelle idee d’avanguardia, nella sollecitazione programmatica abbiamo sempre dovuto distinguere l’idea dalla sua presentazione, il fatto dall’opinione, la sostanza dall’emozione.
Ci attendono ora quattro anni di governo prima del sicuro avvicendamento al vertice della Fise post Los Angeles. Clara Campese ha idee geniali, ben raccontate dal suo territorio, il Veneto, dove ha dimostrato una straordinaria capacità di governare, valorizzare e promuovere la base ed elevarla ai massimi livelli con la qualità del vertice. Il suo messaggio avrebbe potuto essere questo: esportare in tutta Italia il modello Veneto, intraprendenza, coraggio, capacità di ideazione. Duccio Bartalucci è persona stimatissima e di grande valore, ha idee condivisibili e i contatti di alto livello, la formazione apicale e la passione genuina. Nel confronto dialettico è stato più inclemente di quanto la sua persona elegante e rassicurante, da gentiluomo autentico, potesse lasciar pensare. Marco Di Paola ha davanti a sè quattro anni per migliorare i risultati dell’Italia: se il Fei Annual Report 2023 indica l’Italia come secondo paese per eventi organizzati (dietro la Francia) e per atleti tesserati (ancora dietro la Francia), ma non colloca l’Italia sul podio per cavalli tesserati, questo suona a lode per l’impegno organizzativo della Fise e per i nostri cavalieri. Ma indica anche chiaramente la strada da seguire. Se un tedesco apre la porta della sua scuderia e trova 3 cavalli e mezzo, un italiano non può cometere se dietro la sua porta c’è un cavallo soltanto, o poco più. Perché il tennis e l’atletica insegnano: la storia sportiva di una federazione può anche cambiare all’improvviso, senza preavvisi, ma è importante porre le premesse perché questo avvenga. Le premesse sono nei numeri e nel lavoro. E la storia dimostra che i cavalieri italiani, quando hanno avuto i cavalli, hanno vinto.
Oggi che le elezioni sono finite possiamo dire che tutti possono e soprattutto devono lavorare per il bene degli sport equestri. Che sono eccellenza: da Piazza di Siena restituita a evento mondiale a Fieracavalli riferimento senza confini né limiti, dai Mondiali ai Pratoni agli Europei di San Siro fino fino alle Ponyadi, gli sport equestri sono uno straordinario valore aggiunto per il paese. Cui dare in ogni occasione possibile l’immagine migliore che possiamo, in tutte le sedi, sui media, nelle istituzioni e sul territorio. Perchè non sfugga a nessuno la potenzialità economica, tecnica, agonistica e culturale che gli sport equestri, i più belli del mondo, hanno nel paese più bello del mondo. In bocca al lupo a tutti, vincitori e vinti, per i prossimi quattro anni di governo, di opposizione e soprattutto, come può e deve essere, di crescita.