Bologna 10 febbraio, 2022 – Non sappiamo se le misure re-introdotte in Brasile contro la macellazione degli asini da esportare siano o meno la risposta a uno scenario geopolitico più ampio. In pratica se si tratti di un dissapore tra il Brasile di Bolsonaro e la Cina di Xi Jinping.
Di sicuro sappiamo invece che si tratta di una grossa vittoria che premia le strenue lotte condotte dal The Donkey Sanctuary. Oltre che una vittoria degli asinelli naturalmente.
Il Brasile ne macellava circa 60mila all’anno per la sola esportazione in Cina del pellame. Dal quale si estrae una gelatina fondamentale per la produzione dell’ejiao, un rimedio della medicina tradizionale cinese. Secondo questa antica scuola orientale, con l’ejiao si curerebbero dall’anemia all’insonnia. E siccome la produzione di asini da macello in Cina non sopperisce alla domanda, negli ultimi anni si è sviluppato un ricco mercato tra Sud America, India, Africa.
Oltre a questa strage ‘contrattualizzata’, gli attivisti del The Donkey Sanctuary dal 2016 a oggi hanno denunciato con veemenza le condizioni inaccettabili dei viaggi degli animali verso i macelli concentrati prevalentemente nell’area di Bahia. Vere e proprie carovane di morte che hanno aggiunto centinaia di migliaia di ulteriori vittime.
La svolta
Lo scorso 3 febbraio, la Corte Speciale in forze al sistema di giustizia brasiliano ha sancito lo stop e ripristinato un vecchio divieto di macellazione.
Secondo uno studio presentato dal The Donkey Sanctuary, la riduzione della popolazione asinina influirebbe in maniera pesantemente negativa sull’esistenza di circa 500 milioni di persone. Che ancora utilizzano questi eccezionali animali nelle aree più povere del mondo per lavori di massima rilevanza per la sopravvivenza.
A dorso di mulo si trasportano infatti beni primari come l’acqua per esempio. E proprio sul debito che l’umanità ha nei confronti di questi animali e più ancora per il ruolo che hanno ricoperto nella tradizione culturale brasiliana si sono concentrate le motivazioni dei magistrati brasiliani che hanno ripristinato il doveroso divieto.
Si spera a questo punto che altri Paesi delle aree più povere del mondo, tanto in Sud America quanto in India e Africa, seguano l’esempio.