Bologna, 2 febbraio 2019 – Il Caucaso settentrionale per noi italiani è, mediamente, un territorio ignoto: hic sunt leones, veniva scritto nelle antiche cartine sulle zone di cui si sapeva poco o nulla.
A pensarci bene magari ricordiamo che da quelle parti lì vengono latte fermentato, ribelli ceceni e qualche romanzone russo di Tolstojana memoria ma quella catena di montagne che separa (o unisce?) il Mar Caspio e il Mar Nero non ci è familiare. Eppure se avete voglia di saperne un po’ di più basta che approfondiamo la conoscenza con uno dei suoi più antichi abitanti: il cavallo Kabardin.
Questo nome gli è stato dato ovviamente da chi viveva fuori dal suo paese di orgine (oggi Cabardino-Balcaria), e per chi lo allevava era semplicemente un Adigash, cioè il cavallo della tribù Adyge. Questa era una delle tante nazioni circasse che popolavano la regione: nomadi, pastori, gente fiera e dura che doveva essere più resistente delle montagne su cui passava la vita.
Lì al confine tra Europa e Asia litigavano sia coi maomettani del sud che con i moscoviti del nord, difendevano terre e famiglia solo grazie ad un inflessibile stile di vita, addestrati da sempre a sopportare ogni asprezza e a negarsi ogni affetto.
Tranne che quello per il loro cavallo: i viaggiatori europei di due o tre secoli fa riferiscono che le donne di quelle tribù non accarezzavano mai i loro figli, che sin da piccoli dovevano imparare ad essere impermeabili alle dolcezze familiari ma non mancavano mai di coccolare i loro cavalli, con cui il rapporto aveva quella tenerezza che si negavano altrove.
L’addestramento di questi soggetti era particolare proprio per il legame molto stretto costruito dal cavaliere grazie a un contatto fisico quotidiano, a dolcezza e scherzi e piccole tenerezze continue.
Si diceva che i circassi (così venivano chiamati gli abitanti del Caucaso) punissero i loro cavalli semplicemente smettendo di scherzare con loro, cosa che veniva presa come severissima da quei destrieri coraggiosi. Il risultato era un cavallo che obbediva ciecamente al suo padrone, dando prova di pazienza e collaborazione veramente speciali.
I Kabardin sono rimasti famosi sino ai nostri giorni anche per le doti fisiche: nati e cresciuti semi-selvaggi in un territorio così impervio hanno un passo proverbialmente sicuro anche sui terreni più pericolosi, resistenza quasi infinita, la capacità di orizzontarsi nelle situazioni più difficili ed un equilibrio mentale a tutta prova, che permette loro di non reagire in modo incontrollato nemmeno di fronte agli imprevisti più terrorizzanti per altri cavalli – come sassi che rotolano via da sotto i loro zoccoli e precipitano a valle, tanto per dirne uno che capita di sovente a chi passeggia abitalmente a 3.500 metri di quota .
Nelle loro vene scorre sicuramente sangue Turkmeno, Karabakh e Persiano che ha ingentilito e nobilitato la solida base mongolica della razza: l’isolamento politico, culturale e geografico dei Circassi ha fatto il resto, sedimentando nel patrimonio genetico di questi cavalli una uniformità morfologica caratteristica: in prevalenza bai e morelli, con criniere e code ricche di crini abbondanti i Kabardin sono notevolmente più eleganti delle altre razze semi-selvagge russe e godono di una azione rilevata dell’anteriore che non li rende forse velocissimi, ma aiuta parecchio sui terreni impervi.
L’altezza media al garrese è sul metro e 55 cm. di massima, la forma tradizionale di allevamento prevede la suddivisione dei capi in kosyaks, gruppi di 15/20 fattrici ed uno stallone coi puledri dell’anno.
I cavalli non vengono riparati durante l’inverno, ma semplicemente condotti in recinti dove ricevono una integrazione alimentare in fieno e granaglie durante la stagione più dura. Salute e resistenza ai disagi dei Kabardin derivano proprio da questo sistema: la selezione naturale è spietata, i lupi attaccano spesso i kosyaks ma le fattrici proteggono i puledri mettendoli all’interno di un cerchio formato dalle cavalle che si posizionano con la testa al centro e i posteriori verso l’esterno: e oltre ai loro zoccoli d’acciaio i predatori devono tener conto dello stallone, che difende il proprio harem a morsi e rampate.
In tempi recenti il Kabardin è stato incrociato con il Purosangue Inglese per alzarne la taglia e ingentilirne le forme, ma l’immissione di sangue blu britannico non ha diluito le sue qualità di sicurezza e resistenza: anche grazie a queste viene ritenuto il partner ideale per le jighitovka, le acrobazie cosacche che la scuola russa del circo ha fatto conoscere in tutto il mondo..
Fiero e leale, forte e resistente e capace di affrontare lupi e inverni della steppa ma… sapete qual’è la caratteristica dei Kabardin che ci piace di più? La loro capacità di diventare anche compagni di giochi dei più piccoli tra noi.
I racconti russi sulla razza sono pieni di testimonianze, in ogni tempo, della loro dolcezza verso i piccoli umani: ne sopportavano i capricci con pazienza davanti agli occhi di viaggiatori del XIX secolo, scrittori più moderni ricordano di aver visto pochissimi anni fa attacchi improvvisati di Kabardin che galoppavano giù per prati scoscesi trascinandosi dietro allegramente carrette piene di ragazzini indiavolati, che per soprammercato ne stuzzicavano la velocità facendosi inseguire da altre torme di altri ragazzini su altri Kabardin lanciati allo stesso spericolato galoppo.
Tutte romanticherie dal fascino slavo, direte voi: eppure qualcosa di vero ci deve essere in questa inclinazione Kabarda ad assecondare i nostri pargoli, e noi ne abbiamo avuto prova.
Grazie a Baton, un Kabardin morello che era stato la gioia e l’orgoglio di un signore che si chiamava Giorgio Martinelli: Baton era un cavallo dal carattere forte, nemmeno tanto facile e anche in età matura non era mai stato una monta da sottovalutare. Eppure nei suoi ultimi anni è stato il compagno di concorsi più fedele di due sorelline piccole così, che ha fatto divertire con tutta la dolcezza e la sicurezza che può dare un vecchio guerriero circasso dal cuore gentile e protettivo.
A volte le favole diventano vere, sapete? Succede spesso quando dentro c’è un cavallo…magari proprio un Kabardin, come Baton.