Pistoia, 8 aprile 2020 – Riprendiamo un articolo comparso su Cavallo Magazine dell’agosto 2016: perché in fondo quale momento migliore per approfondire un po’ di argomenti etologici?…
E’ facile parlare con Marco Pagliai: gli piace così tanto quello che fa con i cavalli che la sua voglia di farti capire quello che sente gli fa uscire i pensieri in modo fluido, semplice e chiaro. Così basta fare la prima domanda che tutto il resto viene da solo, e a chi scrive per voi non resta altro da fare che ascoltare con interesse.
Il 2 luglio 2016 al Centro Ippico Pelliccia avete organizzato una giornata tutta dedicata all’etologia e al rapporto con i cavalli, declinata attraverso differenti e riconosciuti professionisti, a loro volta rappresentanti di diversi metodi etologici. Come vi è venuta questa idea?
“Andando in giro per manifestazioni equestri: si vedevano sempre diverse metodologie “dolci” però molto indipendenti una dall’altra, molto distanti. Abbiamo deciso di realizzare questa giornata per far capire alla gente che il linguaggio del cavallo, indipendentemente dal metodo di riferimento scelto, è sempre lo stesso. E con i migliori addestratori e istruttori delle varie scuole si è organizzata una giornata di confronto, didattica per i nostri spettatori ma anche per noi stessi. Oggi si vede che la gente è attenta, più interessata di prima a questi argomenti: però questo ha fatto si che siano proliferati anche metodi e sistemi campati in aria, senza basi solide. C’è una confusione che in alcuni casi delude chi era disponibile ad imparare, costringendolo a pensare che magari davvero non ci siano alternative reali ai metodi violenti. E’ solo con i migliori professionisti che si possono raggiungere risultati ottimi in modo alternativo, e noi li abbiamo chiamati”.
Come ha risposto il pubblico?
“Molto bene, c’erano più di 400 persone ad assistere a spettacoli e performance e tutti i commenti, anche sui social network sono stati molto positivi. Spero sia l’inizio di una nuova era e che sia stato lanciato un nuovo corso: invece di rimanere isolati o, ancora peggio, uno contro l’altro occorre stare uniti contro i concetti che hanno alla base violenza, dominazione, sottomissione. Abbiamo avuto ottime conferme da parte dei protagonisti e gettato le basi per il lavoro futuro: avevo un po’ paura, perché naturalmente da parte loro venire nel mio centro e mettersi in gioco è stato un atto di fiducia, ma ha funzionato”.
Come è stata organizzata la giornata?
“Al mattino c’è stata la 5° tappa del Campionato Nazionale Mountain Trail di Imca Italia, nel pomeriggio si sono susseguite varie dimostrazioni e show degli istruttori: Franco Giani che è un Istruttore Parelli, Christiane Moeller Istruttore Monty Roberts, Francesco Vedani di Ars Equitandi e infine io, che sono Istruttore di Addestramento Etologico. Ma la parte più interessante è stata sicuramente il lavoro con i cavalli problematici, cinque casi diversi e molto comuni. Il primo è stato un cavallo tedesco da completo di 17 anni con cui ho lavorato io : aveva tanta, ma tanta paura della tosatrice. Al solo rumore saltava per aria, si impennava e scappava via. E’ stato molto didattico perché insieme a Paolo Baragli abbiamo potuto fare un bel discorso sull’apprendimento non associativo e la desensibilizzazione. Così con la tosatrice in mano, piano piano abbiamo cominciato ad avvicinarci togliendola nel momento in cui il cavallo rimaneva fermo. E’ il metodo dell’attacco e della ritirata, e nel tempo di un quarto d’ora il cavallo ha accettato la tosatrice: ovviamente non è un lavoro finito, si dovrà continuare a lavorare per tosarlo davvero ma ha risposto benissimo a questo contatto iniziale”.
Il secondo caso?
“E’ stato quello di una puledra di 4 anni, figlia di una cavalla da completo e uno stallone da dressage alla quale è stata messa la sella per la prima volta da Christiane Muller. Che ha fatto un ottimo lavoro, mantenendo sempre la calma della cavalla. Queste dimostrazioni non devono mai provocare troppo stress: si è visto nettamente che lei una cosa del genere non l’aveva mai vista in vita sua ma Christiane prima e la sua assistente Nicoletta Lampis poi sono state bravissime, mantenendo la cavalla con una tranquillità e serenità che ha colpito il pubblico. In poco tempo hanno montato e fatto i primi tempi di passo e trotto. La cavalla è qui da noi in addestramento e il giorno dopo ho avuto la conferma della bontà del lavoro effettuato: ha riaccettato tutto perfettamente, come se fosse già stra-abituata, si ricordava tutto il buono dell’esperienza di sabato”.
A chi è toccato poi?
“Ad un cavallo spagnolo di 9 anni che durante il lavoro cadeva sempre troppo sulla spalla: lo ha preso in carico Francesco Vedani, facendolo prima montare dalla proprietaria. Poi ha mostrato come lavorare sul problema: il cavallo era sempre molto affrettato in avanti, molto sulle spalle e non rispettava l’imboccatura. Nel giro di 30 minuti Francesco lo ha riequilibrato, lui ha una leggerezza di richiesta e una tempistica sul rilasso veramente notevole. Il cavallo è stato poi rimontato dalla proprietaria che ha riscontrato il cambiamento positivo: ovvio che per ottenere i risultati di Francesco occorre avere la sua indipendenza di assetto ed equilibrio, ma è stata molto chiara la direzione da dare al lavoro del binomio”.
Siamo curiosi di sapere anche il successivo, ovviamente.
“Il quarto problema da risolvere quello di una cavalla Anglo-Araba di 6 anni molto insanguata, che non stava mai ferma quando le si montava in sella: ancora per Francesco Vedani che ha risolto benissimo dando scomodità ogni volta che la cavalla si muoveva. Come? Facendola muovere a sua volta: anche questo un bell’esempio per il pubblico, molto evidente il problema e molto chiaro anche il modo di risolverlo”.
Chi ha chiuso la giornata di studio sul campo?
“Un Puro Sangue Arabo di 11 anni che ha paura un po’ di tutto: dai teli di plastica a a qualsiasi cosa che si muova con un po’ troppa vivacità. Lui è stato affidato a Franco Giani che lo ha lavorato montando un soggetto esperto e molto tranquillo che aveva il ruolo di rassicuratore: molto interessante che il soggetto in questione fosse il suo mulo, Brillante. Anche questo un ottimo lavoro effettuato in rettangolo tenendo il PSA a capezza con la longe. Una tecnica che vista fare da lui sembra semplice, ma ci vuol niente ad intrecciarsi come un gomitolo facendo un cosa del genere: è importante capire che tutte queste capacità sono frutto di esperienza e anni di pratica”.
Le scorciatoie non hanno mai funzionato con i cavalli.
“Già, e vale assolutamente la pena investire in questo tipo di conoscenze, perché l’importante è capire che senza stress e violenza ci sono risultati migliori, tutto sta nel voler migliorare e prendere coscienza che ci sono cose nuove da imparare. Invece è orribile rendersi conto che ci sono istruttori che non sanno niente delle regole di apprendimento del cavallo: eppure tutto deve partire proprio da loro, che trasmettono agli allievi. Ma di veri professionisti ce n’è pochi, allora bisogna far capire all’appassionato che seguendo certe regole si arriva a risultati migliori. Anche io ho cominciato così, lo sai che facevo esercizi divertenti con i miei cavalli, ho un po’ di esperienza però spesso non mi riusciva di inquadrare il meccanismo con il quale lavoravo. E’ stato l’incontro con Paolo Baragli che mi ha reso chiaro tutto e allora mi sono spiegato tantissime cose. Io ho avuto la fortuna di incontrare Paolo, ma mi piacerebbe che tante altre persone avessero questa possibilità che porta beneficio a tutti, in primis ai cavalli”.
Un lavoro che richiede professionalità, interesse personale e passione.
“Come ha detto l’assistente di Vedani durante il pranzo, il nostro non è un lavoro ma una missione. Il nostro obiettivo è di far cambiare le cose, andare nelle fiere e vedere qualcosa di bello: cavalli sereni, cose belle e non meccaniche, forzate, ottenute grazie a strumenti di tortura acquistabili in selleria. Adesso generalmente si pretende che sia il cavallo a capire quello che vogliamo ma è una partenza ignorante, siamo noi che dobbiamo comprendere il suo linguaggio e spiegargli le cose nel modo per lui più semplice. Per fortuna tanta gente vuole imparare e cambiare le cose: deve solo capire che c’è da studiare e poi applicarsi, nessuno è un mago. Basta studiare e applicare le regole: questa giornata s’è fatta proprio perché, in collaborazione con l’Università di Pisa, vogliamo venga insegnata la teoria dell’apprendimento del cavallo, come si condiziona e desensibilizza. E’ molto importante perché è questo il punto comune di partenza di tutti i metodi, perché è il cavallo ad essere sempre uguale a se stesso”.
Mi è piaciuto molto vedere che ognuno di noi, a fine giornata, aveva sottolineato gli stessi punti cardine: il dare e togliere pressione, la nostra comunicazione con il cavallo è pressione sia fisica che vocale. Per fare un esempio: un cavallo non si ferma perché tiriamo le redini, ma quando abbiamo smesso di tirarle. La gente spesso non si rende bene conto di questo meccanismo, di quanto sia importante un equilibrio stabile in sella per avere la possibilità di intervenire solo nel modo e con la intensità voluta.
“Un’altra riflessione comune è stata quella sul fatto che con la costrizione e la sottomissione un cavallo si può portare a raggiungere certi obiettivi, che però non saranno mai i migliori che quello stesso cavallo potrebbe permettersi. Una delle fregature dei metodi violenti è proprio quella, loro arrivano a darti quello che vuoi. Ma lo stesso esercizio fatto grazie ad una comunicazione meno forzata sarà sicuramente più bello: se lavoriamo con la volontà del cavallo dalla nostra parte tutto è sempre più bello, più elegante e più efficace.
In fondo noi umani siamo solo dei predatori buzzurri, ma se riusciamo a far capire che tramite i metodi violenti abbiamo performance peggiori di quelle possibili per quello stesso cavallo lavorato secondo i metodi etologici forse arriveremo al risultato che sta così a cuore a tutti noi: fare in modo che l’equitazione sia migliore, soprattutto per i cavalli.
E’ la volontà del cavallo che integra la nostra a farci raggiungere i livelli più alti di ogni disciplina: certo, è più difficile. Devi saper interpretare il cavallo che hai davanti, ci possono essere milioni e milioni di cause diverse per ogni suo problema e tu devi capirlo, leggerlo attraverso la tua sensibilità, esperienza e conoscenza ma è un cosa che si può imparare, ed è questo che vogliamo far sapere a tutti.
Che c’è una modalità di comunicazione che porta minori problemi e ci permetterebbe di cambiare un po’ da questo mondo di cavalli impauriti e imbavagliati con imboccature da draghi. Certo, bisogna prima arrivare a riconoscere che abbiamo dei problemi: non so perché ma in Italia, al contrario che in altri paesi dove ho sempre visto far lavorare cavalli problematici agli esperti del settore con entusiasmo, sembra che nessuno voglia mai ammettere di avere un problema. Eppure i cavalli hanno bisogno di gente umile, che non abbia paura né di ammettere le sue difficoltà né di fare brutta figura. C’è bisogno di gente che abbia voglia di rubare con gli occhi, che abbia sete di conoscenza: allora sì che andremo avanti”.
Concludiamo la nostra chiacchierata con il professor Paolo Baragli, medico veterinario e ricercatore presso il Centro di Bioingegneria e Robotica dell’Università di Pisa per l’applicazione di tecniche di bioingegneria allo studio del comportamento emotivo del cavallo nella routine di gestione e nell’interazione con l’essere umano: “Marco ha voluto tutto questo fortemente» spiega Baragli «e io sono stato contentissimo di esserci. Lui è il motore di questa esperienza, è difficile influire sull’ambiente dell’equitazione e cercare di far passare un messaggio più scientifico di quello consueto: Marco su questo è già molto avanti, può aiutare tanti a fare passi in più sulla consapevolezza etologica e trasmettere bene i fondamenti di questo approccio al cavallo”.
A proposito di ambiente equestre: come sta quello italiano, dottore?
“La mia sensazione è che il mondo dei cavalli sia figlio di questa Italia, di un paese che da 30 anni si accontenta di galleggiare, chiuso a tutte le innovazioni e assolutamente assente ai richiami della meritocrazia. Che ha vissuto di rendita per decenni, ma che ora con la crisi vede tutti i nodi arrivare al pettine. E’ un problema che certa parte dell’equitazione sia preda della approssimazione: finché non spariranno gli istruttori improvvisati che dopo due mesi ti fanno uscire in gara sarà difficile cambiare la mentalità media dei praticanti. Mi fa ben sperare che l’interesse economico e la spinta dal basso della base li faccia orientare ad una sensibilità diversa: e la cura per questo stato di cose è arrivare a sensibilizzare la base tramite i media ed ogni canale utile, non si può fare diversamente. Bisogna arrivare ad essere una massa critica così importante da provocare per forza una reazione dell’ambiente vero la direzione giusta e sbloccare il sistema”.
Tutti insieme, per una equitazione migliore: basta aver voglia di imparare.
L’apprendimento non associativo
Lo stesso stimolo che provoca una reazione, se riprodotto per più tempo alla medesima intensità e sempre uguale innesca un automatismo: ci desensibilizziamo a quello che all’inizio ha provocato qualche reazione. Il cavallo in particolare è facile da desensibilizzare, perché in quanto erbivoro predato mira invariabilmente a risparmiare energie: per cui la sua prima risposta è la fuga, ma se capisce che è fatica inutile risparmia le forze e impara a rimanere tranquillo.