Firenze, 27 marzo 2019 – Sono ancora desolatamente vuoti i pascoli del centro di recupero Italian Horse Protection dopo la morte senza spiegazioni di nove dei loro protetti, anziani sì ma senza problematiche particolarmente gravi.
Un lungo incontro, questa mattina tra IHP e gli enti che indagano sulla morte improvvisa dei cavalli di inizio gennaio, ARPAT inclusa.
Tutti concordano sulla necessità di unire le forze nel comune obiettivo di scoprire cosa ha ucciso i cavalli.
Questo si traduce in ulteriori indagini, che richiederanno ulteriore tempo e che purtroppo ad oggi non garantiscono che la causa venga trovata, malgrado tutti gli sforzi possibili e in considerazione dei passaggi tecnici di una vicenda che fin dalle prime settimane si è rivelata essere particolarmente complessa.
Parallelamente all’impegno in corso degli enti pubblici coinvolti, stiamo attivando personalmente anche altri canali: grazie all’Università di Torino siamo entrati in contatto con un laboratorio all’avanguardia di Lione e chiederemo un nuovo esame approfondito da parte di esperti botanici dell’Università di Firenze.
Da tre mesi il Centro di recupero si trova in una situazione di emergenza, come spiega Sonny Richichi, Presidente di IHP, oggi presente all’incontro in rappresentanza dell’associazione: “Confidiamo nell’operato delle sedi coinvolte dell’IZS Lazio e Toscana, così come nelle analisi che ARPAT effettuerà sulle acque per trovare la causa di morte dei cavalli e scongiurare che altri decessi si verifichino. Abbiamo 40 ettari di pascoli recintati, lasciati vuoti da tre mesi per proteggere i cavalli da non si sa quale pericolo. Piante, suolo, acqua, o lo spettro del gesto intenzionale: nessuno lo sa. Per tutto l’inverno i cavalli sono usciti in piccoli recinti diurni e sono stati rinchiusi la notte in spazi ristretti, una condizione che con l’innalzarsi delle temperature presto non sarà più praticabile per il benessere stesso dei cavalli. In particolare alcuni soggetti anziani con pregressi problemi respiratori hanno urgenza di restare il più possibile all’aperto. Mentre gli enti procedono con il loro lavoro, ciascuno per le proprie competenze, ci apprestiamo a organizzare una gestione alternativa con l’utilizzo di almeno una parte dei pascoli a disposizione, anche se questo significa esporli a un pericolo che ancora non ha un nome.”