Cavallo Magazine, 1 settembre 2024 – Occuparci della salute e del benessere degli animali, oltre a essere una nostra responsabilità, implicitamente comporta anche occuparci della salute e del benessere delle persone.
Una simile affermazione può suscitare diverse riflessioni. Essa costituisce l’ovvio presupposto dei benefici psicologici e fisici derivanti per l’uomo dall’interazione con gli animali, riconosciuti già più di 2000 anni fa da Ippocrate, considerato il padre della scienza medica, il quale, ad esempio, usava consigliare lunghe cavalcate come rimedio contro ansia e insonnia, oltre che per ritemprare il fisico; quasi un’ippoterapia ante litteram.
Ma facendo un passo indietro e adottando una prospettiva più ampia e integrata, essa rimanda alla coscienza dell’esistenza di una stretta interconnessione tra salute umana e salute del mondo animale; per cui l’una dipende dall’altra ed entrambe dipendono dalla salute dell’ambiente, essenzialmente perché è da esso che tutti traiamo ciò di cui abbiamo bisogno per vivere, dall’ossigeno che respiriamo, all’acqua che beviamo, al cibo che mangiamo.
Un’antica saggezza e la moderna scienza One Health
In poche parole, esiste un imprescindibile rapporto di circolarità fra lo stato di salute della Terra, a sua volta direttamente influenzato dalle azioni umane, e quello dei suoi abitanti, uomini e animali. Anche in questo caso, si tratta di un concetto antico e al contempo estremamente moderno e attuale. Esso rappresenta il fondamento dell’approccio One Health, ossia “salute unica”, che, partendo da tale consapevolezza, promuove la cooperazione e lo scambio di conoscenze e informazioni tra diverse figure professionali a livello locale, nazionale e globale, al fine di affrontare in modo olistico le questioni relative alla salute dell’uomo, degli animali (sia domestici sia selvatici) e degli ecosistemi, e promuovere il raggiungimento di uno stato di salute ottimale per tutti.
Le origini del concetto One Health
Il metodo One Health si è evoluto dal concetto di One Medicine, che auspicava lo sforzo congiunto della medicina umana e di quella veterinaria in particolare nella lotta alle zoonosi, ossia patologie a carattere infettivo trasmissibili dall’animale all’uomo e viceversa. La paternità del termine ‘zoonosi’ è attribuita al patologo tedesco Rudolf Virchow, il quale già nel XIX secolo aveva riconosciuto l’importanza di un metodo comparativo per la ricerca in campo medico.
Tuttavia, è solo dai primi anni Duemila che la comunità scientifica e gli organismi internazionali hanno recuperato e incoraggiato un approccio di questo tipo, che nel frattempo si è ampliato abbracciando anche la salute ambientale. In occasione del simposio tenutosi a New York nel 2004 con lo slogan «One World, One Health», sono stati elaborati i Manhattan Principles, ovvero una lista di 12 raccomandazioni che invitavano gli esperti di sanità pubblica e i leader politici mondiali ad adottare un punto di vista integrato per la prevenzione delle epidemie e la salvaguardia della biodiversità.
L’emergere delle zoonosi e la risposta del modello One Health
Nonostante il ritardo, si sta finalmente comprendendo che il modello One Health è l’unico che consenta di affrontare le sfide alla salute globale poste dai nuovi scenari del mondo contemporaneo, in parte determinati da:
- crescita della popolazione umana, che si espande antropizzando nuove aree e venendo quindi a contatto sempre più ravvicinato con la fauna selvatica;
- globalizzazione, che non riguarda solo merci, capitali, idee e persone, ma anche gli agenti patogeni;
- sfruttamento ambientale, industrializzazione e cambiamento climatico, che, con il loro impatto negativo sugli equilibri degli ecosistemi, favoriscono l’emergere o il ripresentarsi di malattie infettive e non.
L’impatto del cambiamento climatico e delle zoonosi
Con l’aumento delle temperature, ad esempio, cambiano la distribuzione, la diffusione e la stagionalità di vettori (come zecche, flebotomi e zanzare) di agenti patogeni che causano zoonosi. Le zanzare, soprattutto quelle del genere Culex (zanzara comune), sono i vettori responsabili della trasmissione del virus della West Nile Disease, una malattia infettiva che può colpire anche l’uomo e il cavallo. Il virus prende il nome dal distretto di West Nile in Uganda, dove fu isolato per la prima volta nel 1937, e circola normalmente fra gli uccelli, che fungono da serbatoio virale, attraverso la puntura di zanzare infette.
Nel cavallo, la malattia si manifesta in forma asintomatica nella maggior parte dei casi, oppure con segni clinici tra i quali si segnalano febbre, inappetenza e depressione generalizzata, nelle forme più gravi si registra anche la comparsa di sintomi neurologici importanti. Fortunatamente, però, per i cavalli è disponibile la vaccinazione.
Il fatto che negli ultimi anni nel nostro Paese si sia registrata una recrudescenza dei casi di West Nile Disease ha fatto crescere la consapevolezza dei professionisti del settore sanitario, ma anche delle istituzioni politiche e amministrative, circa la necessità di monitorare la situazione adottando un approccio One Health.
Nella pratica esso si traduce nella messa in atto di una serie di misure precauzionali che tutelino la salute di tutti, attraverso il controllo dei vettori e la riduzione del contatto con essi mediante l’uso di repellenti; la sorveglianza integrata uomo-animali-ambiente; la prevenzione e la comunicazione del rischio; il potenziamento delle misure di sicurezza. Accortezze di questo tipo, peraltro, sono le uniche efficaci per l’uomo, per il quale non è disponibile un vaccino contro questa malattia.
In questo senso, il cavallo funge da “sentinella” per la salute umana, rivelando la presenza del virus sul territorio, e il medico veterinario, dialogando con la controparte umana, assume un ruolo importante anche per la sanità pubblica.
L’antibiotico-resistenza: una minaccia globale
Evidentemente, dunque, il modello One Health si contraddistingue per un fondamentale approccio preventivo prima ancora che terapeutico e incoraggia la formazione e la divulgazione di una cultura generale della “salute unica”. Perché la conoscenza è sempre la strategia migliore, ed è anche l’unica che consenta di comprendere il presente e costruire un futuro, insieme.
Se in un primo momento l’originaria collaborazione tra medicina umana e medicina veterinaria ha orientato gli sforzi soprattutto nella direzione della ricerca contro le zoonosi, oggi l’approccio One Health è divenuto essenziale anche per affrontare su più livelli altri problemi di salute globale. È il caso dell’antibiotico-resistenza, un’emergenza estremamente importante e attuale che minaccia la nostra capacità di trattare con successo le infezioni batteriche. La scoperta degli antibiotici, nemmeno un secolo fa, ha rappresentato una svolta significativa nella storia della medicina permettendo di curare un’ampia gamma di infezioni potenzialmente letali. Tuttavia, questa importante conquista rischia di essere vanificata dal fenomeno dell’antibiotico-resistenza. Le cause del problema sono diverse, ma una cosa è certa: l’uso eccessivo e spesso scorretto di questi preziosi farmaci in molteplici settori (umano, animale, agricolo) è il problema principale e deve essere affrontato. Per resistere all’azione degli antibiotici, i microrganismi sono in grado di modificare il loro corredo genetico, e condividendo i propri geni con altri batteri trasmettono la loro resistenza; di conseguenza, gli antimicrobici disponibili perdono la loro efficacia. Altri fattori che promuovono la diffusione dell’antibiotico-resistenza sono l’aumento degli spostamenti internazionali di uomini e animali e la contaminazione ambientale. In considerazione della complessità e della natura anche ecologica del problema, è evidente la necessità di fronteggiarlo attraverso un approccio coordinato e multisettoriale come quello One Health, che in questo caso include l’adozione di misure per preservare l’efficacia degli antimicrobici esistenti eliminando il loro uso inappropriato e promuovendone uno prudente nel campo della salute umana e animale, rafforzando le attività di prevenzione per limitare la diffusione delle infezioni, migliorando i livelli di consapevolezza. L’attenzione degli organismi internazionali sui rischi dell’antibiotico-resistenza per la salute pubblica è alta, e negli ultimi decenni ha portato all’attivazione di numerosi sistemi di sorveglianza, basati sulla raccolta e lo scambio di informazioni e dati di laboratorio, e alla messa a punto di strategie di contrasto in un’ottica One Health.
A pensarci bene, però, l’approccio One Health non è solo il modello vincente per i piani di sanità pubblica e globale. È anche un concetto che ci fa riflettere sull’importanza della ‘cura’, nel senso etimologico di ‘attenzione’, ‘riguardo’, e sul senso di responsabilità che dovremmo avere nei confronti di tutta l’umanità, del mondo animale e del pianeta, perché scardina quell’antropocentrismo che per troppo tempo ci ha erroneamente fatto credere che ogni cosa fosse stata creata (e dunque potesse essere sfruttata) a nostro esclusivo vantaggio. Senonché, la nostra stessa sopravvivenza è legata a doppio filo a quella delle altre specie animali e vegetali che popolano il nostro pianeta, e non c’è futuro per nessuno se non c’è per tutti. Proprio per sottolineare il focus sugli aspetti sociali, ecologici e ambientali come parti integranti di un approccio olistico alla salute e al benessere globali, più recentemente si sono sviluppati i concetti di EcoHealth e Planetary Health. Indipendentemente dal nome, alla fine il nucleo prioritario ed essenziale è sempre lo stesso: la presa di coscienza della stretta interconnessione esistente tra salute umana, animale e ambientale.
Curiosamente, ma forse poi neanche tanto, la mitologia greca considerava come capostipite della scienza medica il centauro Chirone, una creatura, cioè, per metà uomo e per metà cavallo. Esperto nelle arti e nelle altre scienze, tra cui l’erboristica e l’astronomia, Chirone si distingueva per la sua saggezza e bontà d’animo, e fu maestro di molti eroi, oltre che del dio della medicina Asclepio.
In effetti, noi esseri umani siamo solo una delle molteplici e variegate tessere che compongono il mosaico della Terra; e affinché l’integrità e la bellezza del disegno che vi è raffigurato si preservino, è fondamentale che ci assumiamo il compito di suoi custodi.
La strada da fare è tanta e richiede un impegno serio e costante, ma sicuramente è quella giusta.
N.B. Questo articolo è stato pubblicato sul numero cartaceo di agosto 2023 di Cavallo Magazine.