Roma, 12 gennaio 2017 – Se pensavamo che Bob fosse l’unico cavallo ad aver avuto problemi di depressione dopo aver perduto i crini dobbiamo ricrederci: dopo aver letto la sua storia ci ha scritto un lettore di Cavallo Magazine, Claudio Ussia, per raccontrci la storia del suo Puccio.
Buona lettura ma…. sempre liberi & belli! e chi afferra la citazione ha più di 40 anni, sapevatelo.
Ecco il racconto di Claudio:
“Puccio lo salvammo da un contadino, che lo teneva in un recinto piccolissimo fatto con paletti di ferro e filo spinato. Ogni volta che passavamo di lì per andare in maneggio io e la Mia amica Barbara (ora veterinaria) ci fermavamo a fargli carezze e gli davamo qualcosa da mangiare, a volte partivamo con un sacco di fioccato e mangime per portaglielo. Ma il proprietario un giorno ci disse che non voleva lo facessimo e che il cavallo mangiava benissimo, non aveva bisogno di nulla. Premesso che a noi sembrava fosse sottopeso di almeno 80/90 kg., comunque più passava il tempo più Puccio deperiva e si deprimeva.
Era davvero triste percorrere quella strada. Fatto sta che un giorno di luglio, era il 9, un vicino del maneggio ci disse che Puccio stava per essere abbattuto: ci precipitammo li, il veterinario non aveva ancora effettuato la puntura, gli abbiamo parlato e ci ha detto in separata sede che il cavallo poteva con molti sforzi essere salvato.
Abbiamo contrattato con il proprietario che nonostante tutto pretese 200 mila lire: senza pensarci due volte, gliele demmo e portammo finalmente Puccio in maneggio con noi.
Camminava a fatica, era completamente ricoperto di fango e teneva la testa ciondolante.
Lo pulimmo piano piano con bruscone e acqua calda e li scoprimmo la dermatite: il pelo ci rimaneva in mano a ciuffi, la criniera cadde completamente – si teneva attaccata con il fango, sulla coda rimasero 4 crini, un vero e proprio disastro.
Eravamo molto avviliti e sconfortati, ma abbiamo proseguito giorno dopo giorno a curarlo. Il primo giorno dormii addirittura nel fienile, dove avevamo messo Puccio per farlo stare più comodo possibile ed al caldo.
I successivi 4 giorni io, Barbara e Simone (un altro ragazzo del maneggio) rimanemmo a dormire nella club-house, sul tavolo, sul divano e in poltrona, eravamo ridotti anche noi uno straccio!
Ma non avevamo il coraggio, o meglio avevamo paura ad andare a casa perché temevamo non ce la facesse, e poi bisognava sostituire le flebo ogni ora.
Dopo una settimana tirò fuori il primo piccolo timido nitrito… per noi fu come il bambino che dice la prima parola, un’emozione enorme e la speranza di potercela fare, ci stava dicendo “Sono qui eccomi!” , o forse grazie , non lo so , ma ci vollero altri 6 mesi prima che si ristabilisse completamente.
Poi di li è iniziato il percorso per fargli riprendere piena fiducia in se stesso e nelle persone: permetteva solo a noi ed a una bambina, Monica affetta da Autismo,di avvicinarsi, era sempre vissuto solo . A volte lo guardavo e pensavo non sapesse neanche di essere un cavallo.
Ed era davvero bellissimo, criniera e coda a parte che erano il marchio della sofferenza che aveva patito.
A quel punto ho pensato “Debbo ridargli la sua identità, come faccio?”
Pensa e ripensa mi sono venute in mente le extension, Marisa la proprietaria del maneggio era incredula che potessi riuscirvi, gli altri se pur incuriositi mi presero un po’ per pazzo ma io ero sicurissimo e così ho cominciato ad andare in giro per cercare le ciocche più simili ai suoi colori, ma il bianco era difficile da trovare, le comprai bionde ma non mi piacevano, a quel punto mi ricordai che a Termini vi erano negozi specializzati e che una volta vidi una ragazza di colore con le treccine nere e bianche! Fu un lampo il ricordo, ed io un fulmine per andare a cercare queste ciocche bianche. Una volta trovate torno al maneggio e mi chiudo nel box con Puccio… rimanemmo lì dentro quasi 4 ore e quando uscimmo era fatta: Puccio era di nuovo un vero cavallo con criniera e coda.
Tutti rimasero increduli e lo guardavano ammirati, lui se ne rese conto e lanciò un nitrito talmente forte da stordirmi, poi mi portò trotterellando verso il cancello del prato dove erano tutti gli altri cavalli, volle entrare ed io ero contentissimo: non ci aveva mai voluto metter zoccolo!
Appena lo lasciai cominciò a correre, sgroppare, nitrire e agitare il collo per far muovere la criniera, innalzò la coda a tal punto da sembrare un Arabo!!
Scoppiammo tutti in una risata di gioia estremamente liberatoria: era fatta, avevamo vinto la nostra battaglia e ridato la vita ad uno splendido animale!
Puccio ci ha lasciato circa due anni fa, all’età di 26 anni dopo aver vissuto la sua vita intensamente, essendo passato dal cavallo depresso e malato destinato alla morte, a divenire il capo branco fiero, forte e rispettato, gentile e premuroso con chiunque, l’idolo dei bambini, ed il migliore amico di Zorbac un ponetto pinto ribelle, testardo e dispettoso (il terzo cavallo che salvammo, fu un’altra storia bellissima) che visse in simbiosi con lui.
Spero di non essere stato prolisso, ma ciò che vivemmo con Puccio fu l’esperienza più toccante e profonda che ci capitò. Lui apri la strada al salvataggio di tanti altri cavalli mal ridotti e destinati al macello. Ad oggi nel nostro maneggio i cavalli salvati e recuperati dovrebbero essere 36 molti, dei quali furono successivamente adottati da persone che li avrebbero solo amati”.