Verona, giovedì 7 novembre 2024 – Il ragazzo Filippo Bologni è diventato l’uomo Filippo Bologni. Il tempo passa per tutti, inevitabilmente, è una legge trasversale… Ma per i cavalieri tale legge ha un duplice significato: si riflette infatti sulla loro vita di persone e su quella di cavalieri appunto. Esistono dinamiche diverse nell’un caso come nell’altro, e Filippo Bologni le sta sperimentando proprio in questo periodo. Dopo una carriera sportiva vissuta scandendo un ritmo agonistico sempre di vertice prima in sella ai pony, poi nelle gare riservate ai giovani, poi tra i ‘grandi’, Filippo Bologni ha trascorso gli ultimi due anni ben lontano dallo sport a cui era abituato.
Probabilmente è interessante valutare gli aspetti psicologici che tale situazione può determinare sulla vita di un cavaliere, più che quelli prettamente tecnici e agonistici…
«Sì, è piuttosto complicato confrontarsi con un cambiamento così forte, anche se devo dire che in buona parte sono stato io stesso a decidere di allontanarmi dallo sport di alto livello, nel senso che è stata mia la decisione di vendere i miei cavalli di punta».
Una decisione comunque non facile da prendere.
«Era il momento giusto per farlo. Se si decide che nel nostro sport esiste anche la parte commerciale, allora non potevo non considerare che i miei cavalli di punta cominciavano ad avere un’età e una situazione complessiva per cui non avrebbero potuto sostenere ancora a lungo uno sport a cinque stelle senza qualche cavallo giovane che stesse crescendo dietro di loro. Quindi quello era il momento giusto per cederli, e non rimpiango di averlo fatto. Piuttosto devo riconoscere di essermi reso conto di quanto fossi legato emotivamente e sentimentalmente a Quilazio proprio in quel momento… Sono però felice di sapere che lui ora sta benissimo e sta facendo la vita più bella che gli potesse capitare».
Tutto questo lo si potrebbe considerare anche come una importante lezione di vita?
«Ma certo, sì. Una bella e importante lezione. Diciamo che tutto è accaduto anche in un momento particolare della mia vita, ero forse un po’ saturo di vent’anni di sport vissuto in gara ogni fine settimana di ogni anno senza sosta, quindi l’idea di rallentare non mi dispiaceva affatto… Solo che nella mia testa l’idea era di rallentare qualche mese e poi ritornare… ma non è proprio così automatico!».
Quindi… cosa è successo, concretamente parlando? Come ha affrontato tutto questo da un punto di vista pratico e organizzativo?
«Sono ripartito con cavalli di 3, 4, 5 e 6 anni. Ho iniziato questo percorso nuovo per me due stagioni fa e mi sono dato veramente tanto da fare. Sono due anni che lavoro come mai prima nella mia vita, ma la fatica e l’impegno sono più che altro a livello mentale, di testa più che di fisico. Per questo mi sono tatuato sul braccio un motto fondamentale da questo punto di vista: “O dimezzi i sogni o raddoppi il coraggio”. Perché di coraggio ce ne vuole davvero molto, in questo nostro sport. Devo ammettere di essere molto contento perché relativamente in poco tempo sono arrivato ad avere due cavalli di 8 anni che salteranno qui a Verona nello Csi a cinque stelle di Coppa del Mondo, ovviamente nelle gare meno impegnative. Ma la cosa importante non è tanto quello che questi due cavalli faranno qui a Verona, quanto piuttosto aver raggiunto la consapevolezza del fatto che sono in grado di affrontare queste gare e più ancora quelle che affronteranno in futuro».
Si può quindi dire che alla luce di tutto ciò sia cambiata anche la prospettiva secondo cui lei ora considera e valuta i cavalli da cercare e poi da montare?
«Ah, sì… cambia completamente! Nonostante io già da un po’ di tempo stessi organizzando una mia parte di attività imprenditoriale e commerciale, ero comunque sempre legato alla mia famiglia, ero in scuderia con la mia famiglia… non avevo mai avuto il pensiero di dovermi costruire un nuovo parco cavalli, poiché fin da piccolo sono sempre stato abituato che comunque questo parco cavalli diciamo che si autocostruiva… Un po’ per fortuna e un po’ per capacità del team siamo sempre riusciti ad avere più di qualche cavallo per fare lo sport di alto livello, anche cavalli inaspettati, cioè non acquistati appositamente per le grandi gare ma che in qualche modo all’alto livello sono comunque arrivati. Ma il nostro è uno sport che consente ai cavalieri professionisti di avere una lunga vita agonistica, quindi non la si può condurre con l’idea che tanto prima o poi qualche cavallo capita».
Da qui la sua decisione di fermarsi per poi ripartire?
«Sì, esatto. Poi non mi vergogno affatto nel dire che, per usare una metafora calcistica, io facevo la Champions League senza sapere come sono fatti i tacchetti sotto la suola della scarpetta… Con eguale sincerità dico anche che non me ne faccio più di tanto una colpa, nel senso che nella mia vita è sempre andato tutto talmente veloce, forse perfino troppo veloce, per cui è normale pensare che un ragazzo che si dedica solo ed esclusivamente alle gare senza sosta badi poco al resto… Però in questo modo mi è mancata una parte della base. Adesso invece mi sento molto più competente e preparato sotto molti aspetti nella gestione di un cavallo, intendo gestione a trecentosessanta gradi, non parlo solo di attività sportiva. Mi sono trasferito, mi sono messo in proprio, nell’ultimo anno ho fatto e imparato quello che avrei potuto fare e imparare in dieci anni, e questo mi dà una grande soddisfazione».
Il programma è quello di ricostruire partendo dai cavalli giovani.
«Senza alcun dubbio. Io adesso voglio seguire questo programma. Ovvio che se mi capita un proprietario che mi offre un cavallo di 12 anni pronto per fare le gare da 1.60 non mi tiro certo indietro, ma di base io non acquisterò cavalli pronti e nemmeno cavalli diciamo anziani, se non in caso di opportunità straordinarie. Ho avuto tanta pazienza negli ultimi due anni e siamo adesso molto vicini almeno all’inizio del vero percorso sportivo».
Tra qualche anno si potrà voltare indietro e considerare questo come un momento fondamentale nel suo percorso di vita sportiva…
«Probabilmente sì. Come ho detto, all’inizio sono io che ho voluto questo rallentamento… poi vivendolo mi sono reso conto che ne avevo effettivamente bisogno per comprendere molte cose: ho 30 anni, non più 18, quindi era ora che capissi come funziona veramente il mondo sotto tanti punti di vista nella gestione di una scuderia e di un gruppo di cavalli. Soprattutto cosa voglia dire farlo in autonomia. Mi sono fermato, mi sono rimboccato le maniche, sto cogliendo adesso i primi frutti, ma non è per niente facile… Ci sono state delle giornate in cui mi sono sentito davvero in difficoltà, in cui ho avuto mille dubbi su ogni cosa… Ma d’altra parte questo è il processo a cui tutti devono sottoporsi almeno una volta nella vita, se non di più, nello sport come pure in tutti gli altri ambiti della nostra esistenza».
È un processo di maturazione, a ben vedere.
«Sì, diciamo che sono diventato… adulto!».