Bologna, giovedì 8 agosto 2024 – Emanuele Camilli è un uomo che vive le emozioni dentro, chissà se in modo tumultuoso o meno… Certo è che quando le racconta – e si racconta – il suo tono di voce è sempre molto calmo ed equilibrato. Anche dopo un’esperienza favolosa come quella che l’ha visto a Parigi protagonista della gara olimpica individuale di salto ostacoli.
«Posso solo dire che è stata un’emozione fortissima poter partecipare alle Olimpiadi: come tutti sappiamo bene è il sogno più grande di qualunque atleta di qualunque sport di qualunque nazione. Certo, a gara finita non posso negare un po’ di rammarico per come è andata l’ultimo giorno perché potevo fare certamente meglio, ma lo sport è così… ».
Partiamo da ancor prima… Lei nel 2023 ha conquistato la qualifica di un posto individuale per l’Italia a queste Olimpiadi: era un obiettivo dichiarato, il suo obiettivo cioè, oppure uno dei diversi traguardi della stagione?
«No no, era proprio dichiaratamente l’obiettivo della mia stagione. Ho fatto tutto e programmato tutto per arrivare a quel traguardo. Fortunatamente ci sono riuscito: o meglio, ci siamo riusciti, non dimentichiamo che il mio cavallo Odense Odeveld ha dato il maggior contributo!».
Come descriverebbe il rendimento di Odense nell’arco di tempo che ha costituito l’avvicinamento a Parigi, periodo di qualifica compreso?
«Siamo riusciti a fare tutto proprio come avevamo pensato e programmato. L’anno scorso abbiamo fatto una serie di grandi Csi a cinque stelle per riuscire a conquistare i punti per la qualifica olimpica, poi quest’anno abbiamo avuto un periodo agonistico molto intenso seguito da un momento di calo di intensità per poter arrivare a Parigi al meglio della condizione».
Odense a Parigi ha mostrato una forma e una condizione assolutamente eccellenti!
«Era perfetto! Odense era al massimo sotto tutti i punti di vista».
Come avete vissuto a Parigi i giorni precedenti le gare per il titolo individuale?
«Per noi i giorni senza competizioni sono stati tanti, quasi una settimana, quindi c’è stato un notevole carico di stress… Abbiamo seguito anche altri sport ed è stato bellissimo… il villaggio olimpico è stata un’altra esperienza meravigliosa… ma comunque lo stress era forte. Stare lì tutto il giorno con un cavallo solo… sembra che il tempo non passi mai!».
Che tipo di lavoro ha svolto Odense durante i giorni precedenti la sua gara?
«Ma niente di particolare, lavoro in piano due volte al giorno e niente di più… totale relax».
Lei avrà seguito la gara a squadre…
«Certo, uno sport fantastico».
Faceva dei pensieri su quello che poi avrebbe incontrato lei nell’individuale?
«Sì, certo, ma non c’è stato niente di inaspettato. Lo chef de piste ci aveva detto che i percorsi sarebbero stati veramente duri… E in effetti specialmente l’ultimo giorno era davvero tutto estremo».
La sua prima prova, quella di qualificazione alla finale, come la rivive oggi, a distanza di qualche giorno?
«L’adrenalina era molta, ma in senso positivo. Il percorso era davvero molto grosso ma non più di quello di un impegnativo Gran Premio a cinque stelle, diciamo. Però la posta in gioco era altissima e quindi la tensione bella forte, ma sentivo anche una totale fiducia nel mio cavallo. Ed è andato effettivamente tutto molto bene: Odense è stato magnifico, ha saltato con grande facilità e disinvoltura».
Alla fine di quella giornata cosa pensava in previsione della finale?
«Non vedevo l’ora che arrivasse il giorno dopo! Era l’unico pensiero… Aspettandomi il percorso che poi abbiamo trovato. Del resto la qualità di cavalli e cavalieri era altissima e quindi non c’era alternativa: per avere un risultato positivo bisognava far funzionare tutto alla perfezione, senza possibilità di margini di errore neppure minimo».
Quando ha fatto la ricognizione del percorso della finale ha pensato che ci fossero dei punti particolarmente critici?
«La verità è che tutto era un punto critico! Era davvero estremo, massime dimensioni, massima tecnicità, gli errori potevano venire ovunque… ».
Anche sull’ostacolo numero uno, come nel suo caso, la peggior cosa che possa accadere in campo ostacoli…
«Sì, terribile, ma se ci penso con il senno del poi era una cosa che mi potevo aspettare, Odense me l’aveva già fatto qualche volta: quando il numero uno è contro la porta lui è spesso distratto… ».
E cosa si poteva fare?
«Beh, sapendolo avrei dovuto fare un campo prova migliore. Non l’ho fatto abbastanza tecnico sapendo che il numero uno era un verticale contro la porta. È stato un mio errore grave, e ho pagato un prezzo caro. Una lezione che non dimenticherò mai».
Ma in concreto cosa avrebbe dovuto fare di diverso?
«Avrei dovuto saltare l’ultimo verticale in campo prova in modo migliore, mettendo un po’ di piede e cercando di valorizzare al massimo la parte tecnica del salto. Odense quell’ultimo ostacolo l’ha saltato bene, ma non benissimo: io avrei dovuto affrontare nuovamente quel verticale cercando di farglielo saltare meglio. Soprattutto nella consapevolezza che poi in campo gara il numero uno sarebbe stato un ostacolo di quel tipo e in quella posizione. Colpa mia: una colpa grave».
Dopo l’errore al numero uno è successo qualcosa: si è demoralizzato, è cambiato qualcosa nel cavallo… ?
«Beh, quando sbagli il numero uno sai che il sogno olimpico è finito, quindi la tensione cala inevitabilmente… Quello che mi dispiace è che sono del tutto consapevole che il cavallo era perfettamente in grado di fare molto meglio di quello che abbiamo poi fatto su quel percorso. La cosa positiva è che Odense ha saltato molto bene tutte le parti più difficili: questo mi rende felice».
E adesso?
«Odense è tornato a casa, avrà una settimana di scarico, farà un lavoro molto leggero. Poi il mio veterinario Ugo Carrozzo verrà a vederlo e a seconda dell’esito del controllo faremo un programma. Se Odense si dimostrerà in piena forma come penso, allora faremo il concorso del Longines Global Champions Tour a Roma (29 agosto-1 settembre, n.d.r.) e poi il tour del Messico. Se invece Odense dimostrerà di aver bisogno di un po’ di riposo ulteriore allora non faremo Roma».
Domanda indelicata ma inevitabile: Odense rimane? Potrebbe essere venduto oppure confida di poterlo avere in scuderia ancora a lungo?
«Stiamo facendo delle valutazioni, anche perché le offerte ovviamente ci sono… La possibilità di vendita esiste, ma Odense sarà eventualmente ceduto solo e soltanto nel momento in cui avrò un altro cavallo pronto allo stesso livello. Lo stiamo decidendo con Paul (Paul Schockemoehle è il padre di Vivien, compagna di Emanuele Camilli, grande campione in salto ostacoli e poi ugualmente grande allevatore e commerciante, n.d.r.). In questo momento lo sport è la priorità».
Il nostro problema in Italia in effetti è quello di non riuscire a trattenere i cavalli migliori sotto la sella dei cavalieri italiani…
«Lo so bene, e in effetti le offerte per l’acquisto di Odense ci sono e sono tante. Stiamo valutando tante cose, ma ripeto che lo sport in questo momento è la priorità. Stiamo valutando tanti aspetti della questione, ma l’accordo con Paul è quello di mantenere lo sport ad alto livello proprio come scelta di politica aziendale».
Che è una cosa un po’ diversa per lei rispetto a quello che accadeva anche solo cinque anni fa quando lo sport era funzionale esclusivamente al commercio…
«Sì, ma semplicemente per il fatto che io allora non avevo la forza economica per potermi permettere di rifiutare grosse offerte, dato che il 50% di ciascuno dei cavalli che monto è di mia proprietà. Oggi posso rischiare un po’ di più… ».
Il che rappresenta la conferma di una crescita, di un valore…
«Sì certo, anche se non posso negare il fatto di trovarmi in una situazione estremamente privilegiata all’interno di un’azienda così grande… Altrimenti il tutto sarebbe davvero molto difficile senza uno sponsor vero. Per questo non bisogna criticare o discriminare chi decide di vendere il proprio miglior cavallo quando c’è un’offerta importante, se non si ha alle spalle un sostegno forte: oggi i costi della nostra attività sono divenuti davvero folli».