Parigi, sabato 3 agosto 2024 – Ancora sotto l’effetto adrenalinico della finale olimpica a squadre di salto ostacoli disputata ieri a Parigi – e terminata con il podio di Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia – ci sono diversi pensieri che la notizia di cronaca ha messo in secondo piano ma solo per l’urgenza nel doverla dare, non certo per l’importanza del contenuto. Pensieri e considerazioni che tra l’altro non vedono la situazione agonistica del tutto conclusa poiché rimangono ancora da disputare la qualifica e la finale individuali. Siamo quindi a metà del cammino nel programma olimpico del salto ostacoli…
SQUADRE A TRE O A QUATTRO?
Il ritorno nella composizione delle squadre a tre per Tokyo 2020, dopo che dal 1972 si era passati a quattro (a tre in precedenza dal 1928 al 1968), ha suscitato un dibattito a suo tempo infuocato. Da una parte i cavalieri e i tecnici schierati nella maggioranza dei casi a favore del formato a quattro, dall’altra le istituzioni politiche dello sport decisamente favorevoli a quello a tre. La differenza fondamentale sta nel fatto che a quattro si scarta un punteggio (il cosiddetto drop score), a tre no. La possibilità di scartare un risultato come nel caso del regolamento delle Coppe delle Nazioni (ma non quelle della Longines League of Nations, che fanno storia a sé) o dei campionati internazionali continentale e mondiale tenendo conto della somma degli altri tre permette ovviamente la possibilità di escludere un cavallo eventualmente infortunato, o per una qualunque altra ragione non in grado di competere al meglio, senza per questo compromettere il risultato della squadra. Questo è l’aspetto che ha suscitato la maggiore controversia: a Tokyo nel 2021 si sono visti casi di cavalli (pochi, per fortuna… ) che nonostante non fossero nelle migliori condizioni possibili non sono stati fermati per scongiurare il risultato definitivamente negativo della squadra di loro appartenenza. Quindi il punto è sulla parola più usata a proposito e a sproposito negli ultimi dieci anni: benessere (del cavallo, ovviamente). Ma non solo: anche il fatto che con tre binomi ovviamente c’è meno spazio per ambire a una partecipazione olimpica per i cavalieri di ciascuna nazione.
SQUADRE A TRE: SPETTACOLO E TENSIONE
Nella diatriba tre/quattro a favore del formato a tre ci sono senza alcun dubbio alcuni aspetti positivi, soprattutto valutati in funzione di un pubblico non necessariamente di strettissimi addetti ai lavori. Prima di tutto maggiore rapidità nei tempi di svolgimento della competizione, il che anche televisivamente parlando presenta un vantaggio. In secondo luogo una percezione molto semplice della situazione agonistica: il drop score (squadre a quattro) spesso delinea scenari possibili e ipotetici di non facile e immediata comprensione per chi non sia allenato a fare calcoli e proiezioni. In terzo luogo una tensione immediata su ogni percorso, dal primo al terzo indifferentemente: il che non lascia momenti di ‘riposo’ emotivo a nessuno, spettatori o atleti o addetti ai lavori a vario titolo.
IL RUOLO DELLE RISERVE
Il passaggio da tre a quattro ha però modificato sensibilmente nel regolamento il ruolo della riserva. Con le nuove regole la riserva può entrare in gara nel corso della competizione prima della qualifica e anche prima della finale. Quanto importante sia tale aspetto della nuova impostazione è stato evidente nei giorni scorsi: Karl Cook e Caracole de la Roque hanno sostituito nella squadra statunitense Kent Farrington e Greya, Olivier Perreau e Dorai d’Aiguilly hanno sostituito in quella francese Kevin Staut e Viking de la Rousserie, Kim Emmen e Imagine hanno sostituito in quella olandese Willem Greve e Grandorado: e tutte e tre le ‘riserve’ hanno prodotto prestazioni esaltanti!
UNA GARA ‘SECCA’
Il nuovo regolamento (che poi tanto nuovo ormai non è più… ) prevede che la qualifica serva solo per l’appunto a qualificare le squadre alla finale: per poi ripartire da zero. Ma ripartire da zero è giusto o sbagliato? La prova di qualifica non è affatto uno scherzo, ovviamente: perché non tener conto anche di quelle penalità, della bravura di cavalli e cavalieri nel conseguire quel risultato, della possibilità di giungere a una classifica considerando entrambe le prove? Se così fosse stato, il risultato di Parigi sarebbe cambiato enormemente: la Germania avrebbe vinto la medaglia d’oro invece di finire al 5° posto, per gli Stati Uniti non sarebbe cambiato nulla perché avrebbero mantenuto la seconda posizione a pari penalità con la Gran Bretagna ma con una somma dei tempi migliore, la Gran Bretagna dunque non avrebbe conquistato l’oro bensì il bronzo, l’Olanda sarebbe stata al 4° posto comunque, la Francia non avrebbe conquistato il bronzo bensì sarebbe stata al 5° posto, l’Irlanda al 6° e non al 7°, il Belgio al 7° e non all’8°, la Svezia all’8° e non al 6°, Israele comunque al 9°.
IL VANTAGGIO DEGLI INDIVIDUALI
Dopo due giorni di intervallo da quello della finale a squadre, inizia il programma della competizione individuale: prova di qualifica poi la finale. Un dato di fatto risulta lampante: chi ha gareggiato anche nella gara a squadre arriva a quelle due prove con i cavalli che – nel caso di quelli che hanno composto le squadre finaliste – hanno nelle gambe due percorsi lunghi, difficili e stressanti in più rispetto a quelli dei cavalieri che fanno solo la competizione individuale. Due percorsi che in funzione della classifica individuale non servono a nulla, visto che di quel risultato non si tiene conto. Quanto questo possa influire sull’esito della competizione individuale è difficile da dire. Per alcuni cavalli due giorni di riposo possono essere più che sufficienti e per altri no, per alcuni cavalli essere ‘dentro’ il ritmo di una serie di gare ravvicinate può servire a non perdere tensione e per altri invece no… Questioni molto soggettive, dunque.
LA REGOLA DEL SANGUE
Sangue sul corpo del cavallo anche in minimissima percentuale? Eliminazione. La regola della Fei è chiara, semplice, non discrezionale, indiscutibile, inappellabile. L’eliminazione è una sanzione a carico del cavaliere? No. E’ una conseguenza, ma non una sanzione. Sangue sul cavallo non vuol dire maltrattamento: vuol dire solo – questo è il senso della norma – che quel cavallo, sanguinando anche se in minima parte, non può proseguire la gara. Ma è giusto? Ogni volta che si presenta un caso, si riaccende la discussione. Non abbiamo la prova del contrario, ma è verosimile pensare che a Parigi il Brasile abbia perduto l’opportunità di gareggiare per una medaglia a causa dell’eliminazione di Pedro Veniss per una leggera escoriazione sul fianco destro del suo Nimrod de Muze. Lui aveva chiuso il primo percorso della qualifica a zero, Stephan de Freitas Barcha con Primavera a 4; Rodrigo Pessoa con Major Tom una volta saputo dell’eliminazione di Veniss non è partito ovviamente, ma è difficile pensare che il suo risultato non sarebbe stato in linea con quello dei compagni… Verosimilmente il Brasile sarebbe entrato nelle prime dieci e poi… chissà. Ma è bene chiarire che a Parigi la giuria non avrebbe potuto fare altrimenti: la regola non ammette alcuna discrezionalità, va semplicemente applicata così come è enunciata: sangue (poco, tanto, una via di mezzo, un accenno… ) uguale eliminazione. Ovviamente non ha alcuna importanza il motivo della presenza di sangue: che sia per la puntura di un tafano o per l’uso involontario (o volontario) dello sperone o per un ramo di una pianta urtata inavvertitamente durante il percorso… non importa. Sangue uguale eliminazione. Il che – con le formazioni a tre e non con quelle a quattro – equivale a una sentenza definitiva per la squadra di cui fa parte quel cavallo. Diciamo che forse si potrebbe riaprire un confronto su questo tema: gli ufficiali di gara – giudici e steward per non parlare dei veterinari… – sono formati in modo tale da essere assolutamente in grado di valutare discrezionalmente tra caso e caso.
GENERAZIONI A CONFRONTO
I britannici Ben Maher e Scott Brash alle Olimpiadi di Londra nel 2012 hanno vinto la medaglia d’oro a squadre facendo parte di una formazione (allora a quattro) che oltre a Nick Skelton comprendeva anche Peter Charles. Ieri Ben Maher e Scott Brash hanno vinto la medaglia d’oro a squadre facendo parte di una formazione il cui terzo componente era Harry Charles. Peter, il padre: nato il 18 gennaio 1960. Harry, il figlio: nato il 15 luglio 1999. Il nostro è uno sport che crea queste suggestioni emozionanti…