Offenburg, 25 agosto 2022 – Ebbene sì: a Offenburg fino al 28 agosto ci saranno anche loro a rappresentare i cavalli italiani, perché di diritto ormai ne hanno acquistato il titolo.
Per la precisione due nobili stalloni Lipizzani dal manto grigio: Conversano Orazia e Siglavy Uberta, provenienti dal Crea di Montelibretti che si esibiranno in un carosello a due montati da Alessandro Guerra e Diego Salvati.
Sono due dei Lipizzani allevati al Crea di Montelibretti: e la loro è una lunga storia, anche d’amore.
A dire la verità più che l’amore fu la guerra a regalarci, subito dopo la fine del primo conflitto mondiale, 109 preziosissimi cavalli Lipizzani.
Vennero consegnati al Regno d’Italia dagli austriaci, come risarcimento per danni di guerra.
In questo primo nucleo erano rappresentate tutte le 6 linee classiche maschili e 13 famiglie femminili sulle 15 esistenti: vennero accolti con tutti gli onori e scrupolosamente custoditi a Lipizza (che tra le due guerre mondiali era territorio italiano), la culla della razza, fino a quando un’altra guerra arrivò a distruggere la tranquillità di uomini e cavalli.
Era il 1943, dopo l’8 settembre la Germania invase il litorale adriatico italiano e quindi anche Lipizza: i tedeschi portarono tutti i cavalli a Hostau, a poca distanza da Praga, e i Lipizzani tornono in Italia solo il 18 novembre del 1947.
Si trattava di una parte di quelli salvati da Patton dopo l’eroico spettacolo di Podhajsky e vennero trattenuti in Italia durante il loro trasferimento per via ferrata verso Lipizza, diventata Jugoslava, mentre transitavano per il Brennero.
Erano meno della metà di quelli requisiti dai tedeschi nel ’43: 5 stalloni, 42 fattrici e 33 puledri.
Come i primi 109 del loro sangue arrivati in Italia, anche questi vennero trattati con il riguardo necessario ai discendenti di una schiatta imperiale: ma per evitare problemi questa volta vennero tenuti lntano dai tribolati confini patrii e domiciliati a Montelibretti, in provincia di Roma.
E sono ancora lì, sapete?
Sui colli dolci con cui cominciano Monti Sabini, dove i pascoli verdi si infilano sotto le querce dei boschi attorno, rossi di foglie color rame che stanno così bene contro l’azzurro smalto del cielo limpido e sereno.
Siamo andati qualche anno fa all’Allevamento Statale del Cavallo Lipizzano gestito dal CREA (Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura) per vederli da vicino.
E pur conoscendo bene la storia i questi nobili austrici ormai naturalizzati italiani non avevamo una idea precisa di quello che avremmo trovato.
Provate a pensarci: non deve mica essere facile doversi curare degli eredi di una tale schiatta, abituata ai lussi imperial-regi della splendida corte viennese.
E come hanno risolto la faccenda qui a Montelibretti?
Semplice, lasciando perdere i fronzoli dorati di asburgica memoria e pensando solamente ai cavalli.
Per la precisione 145 Lipizzani, un nucleo entro il quale la scrupolosa programmazione scientifica dei piani di accoppiamento mantiene una percentuale di consanguineità decisamente contenuta (siamo nell’ordine dello 0,1-0,22%), la presenza di tutte e 6 le linee maschili classiche e 11 delle 15 famiglie femminili: tutte cifre che abbiamo viste tradotte in cavalli in carne e ossa qui, nel centro dell’ASCAL.
“Al di là delle caratteritiche morfologiche tipiche della razza, in cavalli che sono pronti a diventare amici dell’uomo: l’attitudine al lavoro è sempre stato il criterio fondamentale per la scelta dei riproduttori Lipizzani e noi ci accorgiamo, con ogni nuovo puledro, di quanto sia congenita questa inclinazione. Sono soggetti tardivi rispetto ad altre razze: bisogna saperli aspettare, il lavoronon comincia prima dei 4 anni. Ma ripagano la pazienza di chi li attende con tanta volontà, grande capacità di apprendimento e calmarsi nelle difficoltà. Sono cavalli che mantengono il lavoro appreso nel tempo, che amano e cercano il rapporto con l’uomo: amici, veri amici”.
Nell’azienda di Montelibretti fattrici e puledri vivono al pascolo, in branchi omogenei per età e sesso e vanno dai puledri appena svezzati alle fattrici più anziane, ma quando sentono arrivare il trattore che porta l’integrazione della profenda tutti si avvicinano alle mangiatoie.
I puledri nati nella promavera si ammucchiano come ragazzini durante la ricreazione, uno sopra l’altro coi faccini svegli incorniciati dalla loro prima capezza da cui pende uno spezzone di corda (la scozzonatura comincia adesso per loro, con gradualità e dolcezza di abitueranno ad essere accostati e maneggiati dall’uomo).
Assieme a loro c’è un vecchio stallone grigio che fa il burbero e amministra la disciplina, i piccoletti lo rispettano e gli lasciano una porzione più ampia della mangiatoia comune stipandosi tumultuosi all’estremità opposta.
Poi poco lontano ci sono i puledri di due anni, ancora sottili e con qualcosa di adolescenziale nella figura, gentili e delicati.
Si comincia a vedere la differenza nel branco dei 3 anni, loro sono giovanotti già solidi, più indipendenti uno dall’altro: non cercano più la vicinanza dei compagni appoggiandosi loro spalla a spalla, ma si fermano sicuri sugli appiombi e ti guardano intrepidi soffiando dalle froge qualcosa che finisce con un punto interrogativo.
Senza paura e nessun imbarazzo per il profilo della testa che non ha più la leggerezza del puledro ma non ancora la fierezza del cavallo adulto, o per il mantello che sta diventano altro dal quello della loro infanzia .
Ma tra tutte ci è rimasta negli occhi e nel cuore la scena del branco di una trentina di fattrici, giù nella valle, incastonate nel verde smeraldo del pascolo e contornate dai profili delle colline più lontane.
Il loro mantello color latte è luminescente nella luce di questo mattino di sole invernale, immobili e silenziose come sono sembrano le protagoniste di un sogno incantato.
Caute e prudenti, dopo lunga consultazione hanno deciso di salire verso di noi: la prima entra nel passaggio che porta al pascolo superiore, poi la segue una lunga fila di giumente dal mantello candido che rompono al trotto e poi al galoppo, il prato morbido assorbe il poco rumore degli zoccoli sferrati e loro arrivano in attimo, leggere, fin quasi a farsi sfiorare.
Siamo stati fortunati a vederle dal vero, ad essere lì in quel momento perfetto: un solo piccolo momento, che è possibile vivere grazie ad una razza di cavalli che ha tre secoli di storia e a una realtà come quella di Montelibretti, che li mantiene vivi per noi.