Bologna, 16 febbraio 2019 – Se l’ippica moderna avesse una carta di identità, tra i suoi dati anagrafici troveremmo scritto che la signora è nata a Newmarket un bel giorno di maggio del 1750: perchè è in questa cittadina da 15.000 anime (e 3.000 cavalli da corsa) sul confine tra Suffolk e Cambridgeshire che è nato il Jockey Club. Ad essere proprio precisi, la culla di questa prestigiosa e fondamentale istituzione è stata una taverna, la Star and Garter, «…rinomata per la sua cucina ed i suoi vini» : scelta spesso da un gruppo di signori appassionati di corse per i loro incontri, venne eletta a sede di una storica riunione in cui si dovevano discutere alcune irregolarità verificatesi in pista.
Era appunto il maggio del 1750, e da quel momento preciso cominciò l’irresistibile evoluzione di un mondo assolutamente nuovo, abitato dai più esclusivi e selezionati atleti a quattro gambe che mai abbiano galoppato sulla terra: i thoroughbred, o Purosangue Inglesi per noi italiani.
Da quel giorno i tanti, lunghissimi fili che legavano Newmarket alla passione per le corse (era dal regno di Giacomo I, inizi del XVII secolo, che si tenevano qui le più prestigiose) vennero disciplinati e grazie al potere guadagnato sul campo dai membri del Jockey Club (per essere ammessi non era necessario soltanto essere dei gentlemen, ma anche avere chiara fama di competenza equestre) si poterono difendere le regole che sono alla base di questo successo allevatoriale, sportivo ed economico.
Potere decisionale incontrastato sui campi di gara (anche il fantino di re Giorgio IV venne squalificato per una sospetta scorrettezza nel 1792 e i commissari non avevano nemmeno ragione: era il cavallo di Sua Maestà, Escape, ad essere un lavativo a corrente alternata), idee chiarissime sull’importanza di istituire un calendario graniticamente costante di gare che diventassero pietra di paragone annuale per i secoli a venire, un raffinato sistema di calmieramento delle possibilità di vittoria (l’handicap) indispensabile per favorire una economia parallela come quella delle scommesse.
Il tutto gelosamente custodito per secoli, e corroborato da una credibilità così solida dei suoi componenti (e quindi delle loro decisioni) da divenire proverbiale.
Protetto dalle cure del Jockey Club si è sviluppato lo Stud-Book del Purosangue Inglese, un successo ineguagliato dal punto di vista ippologico, funzionale, commerciale e culturale.
Un cavallo che lavora per noi da più di tre secoli, e grazie al quale sono migliorati non solo altre razze ma anche tanti aspetti legati al coté più tecnico dell’equitazione, che non avrebbero potuto essere sviluppati al meglio senza la sua brillante partecipazione: l’unico caso, a pensarci bene, in cui un cavallo è ancora l’indispensabile socio di un business umano di importanza planetaria – tranne che per l’Italia, visto come abbiamo fatto andare le cose da noi.
Qui li sito del Jockey Club inglese