Grosseto, 11 settembre 2019 – E’ di pochi giorni fa la notizia della vittoria del grossetano Erik Fumi in una 27 km. di Endurance all’Ippodromo livornese del Casalone: che detta così sembra una cosa abbastanza normale, ma a guardare bene è tutta un’altra faccenda.
Perché Erik Fumi era un fantino e viveva di galoppo sino al 2011, quando un incidente in corsa gli ha cambiato per sempre la vita: la cavalla che montava gli è mancata sotto in dirittura d’arrivo, lui è rovinato a terra con lei e ha sbattuto violentemente la testa sulla pista.
Il ragazzo era finito in coma, i medici non sapevano se avrebbe superato la prima notte ma Erik ce l’ha fatta.
L’incidente gli ha lasciato una emiparesi al lato sinistro del corpo, ma dopo i primi 4 anni – i più difficili dopo la caduta – Erik è riuscito a risalire non solo la china, ma anche in sella: «Certo, zoppicchio ancora un pochino e la mano sinistra fa quel che può» ci dice Fumi con la sua bella parlata toscana, «ma insomma sono riuscito a rimontare in sella e con le redini mi arrangio».
Ma Erik non solo è tornato in sella, è anche riuscito a tornare a vincere: «Prima con il Paradressage, sotto la guida di Gea Einaudi e Alessandro Benedetti: sono diventato campione italiano nella categoria esordienti, ma poi ho sentito il bisogno di cambiare, E così ho provato il Paraendurance, poi l’Endurance tout-court: domenica 8 settembre sono arrivato primo davanti ad altri 6 concorrenti, tutti normodotati. Avevo bisogno di ritrovare lo stimolo dell’adrenalina, e anche se è diverso dalle corse in pista con l’Endurance torno a far fatica, e mi piace fare fatica in sella».
Perché il lavoro con i cavalli era la vita di Erik: nonno, padre e zii tutti fantini o allenatori nel mondo del galoppo, lui è cresciuto in scuderia e dai cavalli non sa stare lontano.
E adesso c’è Kohl.
«Il mio compagno di gara adesso è lui, Kohl, un Purosangue Arabo di 14 anni: me lo ha regalato l’Associazione nazionale Italiana Cavallo Arabo, Lisa Landucci e Domenico Ciceroni hanno messo lanciato un appello ai loro soci e mi hanno chiamato in tanti per provare qualcuno dei loro cavalli. Andai per provare il primo alla Barbarossa di Rocca di Papa, da Sandro Bottiglia e mi hanno presentato lui, Kohl: me ne sono innamorato subito, perché è un cavallo dolce, bravo, un po’ sornione, in scuderia va sciolto e gironzola come se fosse un cane. L’unico difetto che ha è di essere sfaticato, lui proprio non avrebbe mai voglia di fare niente: va montato, però è bravo».
Cosa ti dà essere riuscito a tornare in sella?
«E’ che a cavallo mi sento normale: fuori i problemi ce li ho, ma a cavallo mi sento come prima. Con più difficoltà, certamente, però mi sento a posto. Io c’ho proprio la passione, le corse son corse e non si può spiegare l’adrenalina che si sente scorrere quando si aprono le gabbie. Nel paradressage non ce l’avevo, ma non perché sia più bravo, devo imparare sempre qualcosa ma perché è proprio diverso il tipo di competizione. Così Francesca Gentile mi disse di provare con l’endurance e poi Alessandro Generali mi ha inserito nel suo team: e di questo li ringrazio molto entrambi, assieme a Sezzi Saddle e al San Rossore Turf Club che mi hanno fatto da sponsor per il materiale di selleria».
Cosa ti porti dietro di utile dal mondo del galoppo?
«Forse il senso della competizione, l’abitudine e il piacere della fatica, mi garba la tensione. E poi la professionalità del mondo dell’ippica: il mio babbo Tebaldo ha lavorato per tutta la vita nelle scuderie più importanti, la Dormello Olgiata per dirne una, quando ho bisogno di un veterinario o di un maniscalco chiamo i più bravi che ci sono, perché li conosco e abbiamo lavorato con loro. Sono orgoglioso del premio Best Condition che è stato assegnato proprio a Kohl domenica, perché è una conseguenza della cura che mettiamo nel suo allenamento e nel lavoro che deriva direttamente dall’esperienza di tanti anni nell’ippica. E da quel mondo continuo a imparare: ora la scuderia Botti mi ha dato un lavoro, sono il segretario corse e mi occupo della parte burocratica e per me è un orgoglio lavorare per questa famiglia, una di quelle storiche del turf in Italia, sono tornato a respirare l’aria delle piste. Certo, mi piacerebbe fare ancora di più – magari l’addetto al peso, o il commissario – ma sembra che non ci sia posto per me, adesso. Eppure ci ho dato l’anima per quel mondo, per quel lavoro: e questo mi fa male, più dei problemi fisici».
E dal mondo del paradressage cosa ti sei portato via?
«Tanto, anche lì: io sono sempre stato uno rustico di carattere, quelli che mi conoscevano anche prima dell’incidente mi dicevano “ma come fai a fare paradressage, proprio tu?”. Eppure anche adesso con Kohl sfrutto il lavoro in rettangolo che ho imparato ad apprezzare proprio grazie al paradressage: mi serve a renderlo più flessibile, io sono uno che ruba con gli occhi e non ho buttato via nulla di quello che ho visto, anche lì».
Una forza della natura questo Fumi e che si sente ne ha presa tanta dai suoi genitori, babbo Tebaldo e mamma Grazia: che è scomparsa la settimana scorsa, poco prima della gara al Casalone e a cui Erik ha dedicato la vittoria. «Ma io la sento che è con me, non sapevo se correre o meno quando è peggiorata ma è stata lei a dire che dovevo farlo comunque. E io non ci credo a certe cose, ma Kohl che non beve mai durante la gara, e questo non va bene per l’esito delle visite veterinarie, domenica ha bevuto tutto quello che doveva urinando poi regolarmente e facendo andare i battiti ancora più in basso del solito (una sua dote naturale, ottima per l’endurance): secondo me lei m’ha fatto assistenza da lassù».
Come ti senti ora?
«Bene, perché per me già finire la gara è un successo ma ho dimostrato che ce la posso fare. Non mi voglio sentire disabile, anche se c’ho problemi e non li nascondo. E sto tanto bene che m’è venuta voglia di provare il parajumping: perché se non mi diverto, non mi garba. E quello che non so lo imparerò, perché c’è sempre da imparare».
E sì, Erik ha davvero ragione: c’è tanto da imparare, per tutti.